BONE MAN, III
Il fatto che i tedeschi Bone Man abbiano deciso di aprire il loro ultimo lavoro con una traccia intitolata “Pollyanna” mi ha fatto immediatamente pensare alla sagra dei cartoni animati. Essendo già parecchi coloro che infestano lo Stivale riproponendo sigle di Jeeg e Heidi (vantandosi anche di suonare, tra l’altro), ho avuto il timore che questa disgustosa usanza si fosse sparsa Oltralpe come un virus, giungendo sino in territorio teutonico. Immaginavo già la Merkel chiedere all’Italia un rimborso per aver contaminato la Germania ed ero pronto a suggerire al nostro governo di giocare d’anticipo sulla Cancelliera, presentandole il conto per i danni incalcolabili arrecati dagli Scorpions sia a noi che al resto del mondo. Motivi validissimi per scatenare una guerra nucleare capace di spazzare via dalla Terra i ¾ della popolazione mondiale, inclusi gli autori di quel piagnisteo mortale che è “Wind Of Change” (sarà per questo che in Corea del Nord hanno il pulsante facile?); ma ci potrebbe andare di mezzo anche la banda di The New Noise, un effetto collaterale quantomai indesiderato.
Fortuna loro, ci è voluto poco a rendermi conto che non si trattava del temuto virus e dunque, almeno per ora, è meglio continuare a sorbirci gli Scorpions onde evitare il rischio che dei New Noisers ci lascino le penne. Purtroppo la cosa ha sortito anche un doloroso effetto boomerang su chi vi scrive, perché pur non avendo i Bone Man contratto il virus di Puffi e Ken il Guerriero, risultano comunque noiosi al limite del fastidio, fatta eccezione per i 30 secondi iniziali di “Pollyanna”, sempre lei.
La loro zuppa di alt rock anni ‘90 all’acquapazza è davvero pallosissima, ho fatto anche difficoltà a identificarne le caratteristiche principali perché ogni due o tre pezzi mi sono trovato costretto a staccare per prendere una boccata d’aria. Mi hanno fatto venire in mente i Litfiba di Terremoto, già di per se album tediosissimo, con un sound più aperto ma avvolto da un alone di depressione folk. Capito a quali torture mi sono sottoposto per scrivervi queste quattro parole?
Gli intro, gli stacchi e alcuni riff sembrano promettere bene finché non finiscono con il rotolare giù, sempre dentro lo stesso fosso, spinti da una voce inespressiva wannabe goth, alla Nick Cave de’ noantri per intenderci, da assoli di chitarra tipo grunge ma non posso, che a me paiono tutti uguali, e dalla struttura dei brani anch’essa identica in quasi ogni pezzo. Un pianto.
I limiti dei Bone Man sono talmente tanto palesi da manifestarsi già al primo ascolto. Come vi anticipavo, è impresa ardua quella di giungere all’ultima traccia senza premere stop almeno un paio di volte, ed in alcuni casi è anche difficile arrivare alla fine del singolo brano senza esagerare con gli antidepressivi.
Per confezionare il tutto in modo impeccabile è stata scelta una copertina perfetta per un disco grind o degli Exploited, in cui è immortalato tutto ciò che resta del sottoscritto giunto al termine dell’album senza interruzioni.