BOMBINO, 13/2/2014
Bologna, Locomotiv Club.
Questo scorcio di secolo, con le sue innovazioni a livello di comunicazione, ha portato artisti prima di difficile reperibilità a incidere dischi per etichette europee. Vengono così riscoperte le sonorità del deserto africano e delle grandi carovane tuareg. Niente di nuovo, comunque: questi gruppi esistono da sempre, e musica simile la si può ascoltare in decine di compilation world music uscite per Repubblica, ad esempio. Cos’ha dunque di speciale questa nuova tempesta di sabbia che sta investendo la scena contemporanea? Probabilmente è proprio l’uscire per realtà come – ad esempio – Glitterhouse o Sublime Frequencies che permette a questi artisti di ricontestualizzarsi e di essere ripensati in ambienti rock, alternativi e in questo caso psichedelici. I quattro stati tuareg si stanno approcciando in modo nuovo all’idea di world music, e la risposta da parte degli ascoltatori è molto positiva. Un altro interrogativo è cosa distingua Bombino, nativo del Niger, dagli altri gruppi forse più famosi come Tinariwen, Tamikrest o Samba Tourè. Di sicuro un approccio più rock alle sonorità care al suo territorio, che, ribadisco, rimane quello tuareg. La chitarra elettrica scarica vibrazioni diverse da quelle più folcloristiche proprie della linea Tamikrest, di sicuro in chiave più psichedelica, ma senza mai discostarsi da un suono tradizionale caratteristico. Tutto questo diverrà ben chiaro durante il concerto del Locomotiv.
Vale la pena arrivare in orario per godersi un set che stupirà i più, quello di Above The Tree & Drum Ensemble Du Beat, nuova formazione del musicista folk italiano Marco Bernacchia, che rapisce anche gli spettatori filo-psichedelici venuti per Bombino. Sul palco si schiera un trio che sta già facendo molto parlare di sé grazie all’ultimo Cave Man, nel quale tutta la tavolozza dei colori si mescola in spirali eteree di rock psichedelico (anche se, ed è un bene, si sentono le origini noise-folk di Marco). Il tema è quello classico di Above The Tree: i pennuti, che oggi si evolvono in uccelli del paradiso grazie a maschere (quasi un tributo a Chippendale) e tamburoni tribali. In ambito sonoro, invece, la spirale della signora elettrica si muove in modo frenetico, ipnotizzandoci. Il pubblico risponde bene e la sala si riempie fin da ora. I pezzi sono ben studiati, marcati da un timbro riconducibile ai vecchi lavori in solo, ma con una spazzata di colore neo-dada molto ben studiata, caratteri classici mescolati a novità quasi acide e – a tratti – ritualistiche, rese grazie alle varie percussioni e ai toni della chitarra. L’insieme mi tiene attaccato al palco.
Con Bombino ci spostiamo dalle cime degli alberi alle dune del deserto. Tocca all’organizzazione tuareg di Bologna Tekelt presentare in breve l’artista. Già da qui si vedono le prime tuniche. Prime, perché sia Bombino sia il suo seguito si presentano col vestiario tipico, cosa che si poteva già intuire dall’entrata, dove un banchetto esponeva gioielleria etnica. Il concerto si divide in due parti: nasce acustico, con strumenti quali jambe, chitarra e altre percussioni, per poi maturare elettricamente verso i pezzi di Nomad, album del 2013 che è stata una conferma per il chitarrista del Niger. Bombino richiede la partecipazione del pubblico: scambi, contatti, connessioni beuysiane che riuscirà a creare proprio grazie a quest’alchimia di suoni del deserto e strumenti elettrici. Il principio acustico aiuta ad entrare nell’ambiente, nel paesaggio, ci conduce per mano verso luoghi aridi ma pieni di vita, è questa la sua funzione, non facile vista la temperatura di febbraio. Tutti i pezzi sono ritmici e folcloristici ma non travolgenti, non ancora: sarà compito della seconda parte del concerto quello di immergerci nella sabbia. Non appena Bombino attacca la chitarra, la magia ha inizio, scatta la scintilla e la situazione prende vita. Stare fermi è impossibile, bisogna lasciarsi trasportare da un connubio sonoro riuscito, arricchito dalla fantastica presenza scenica: l’uomo si muove esaltato, balla come la sua musica gli comanda, e, di conseguenza, fa ballare noi. Viene proposto quasi tutto Nomad, ma non rifacendo le canzoni così come sono. Va ricordato che la componente psichedelica gioca un ruolo fondamentale e quindi i rondò che riportano alle tracce dell’ultimo disco vengono diluiti da lunghe fasi di improvvisazione quasi hendrixiana, senza mai abbandonare la via della seta. Dopo la prima ora di concerto e una breve pausa, il pubblico chiede sempre di più. Nel gran bis finale tre pezzi fanno impazzire il pubblico, che ritorna a ballare, ancora più esaltato, anche se pian piano Bombino scala le ultime dune chiudendo la serata come una carovana che finalmente arriva in città.
Grazie a Francesco Locane (www.radiocittadelcapo.it) per la foto.