BOLOGNA VIOLENTA, Nicola Manzan
Dopo esserci fatti conquistare dalla sua ultima prova come Bologna Violenta e averne tessuto le lodi in sede di recensione, abbiamo pensato fosse giusto sentire direttamente Nicola Manzan per farci svelare qualche ulteriore dettaglio sulla sua nuova creatura. Ne è venuta fuori una lunga e interessante chiacchierata, che abbraccia la sua carriera come musicista, i suoi ascolti, il suo approccio alla scrittura dei brani e molto altro ancora. Inutile, perciò, indugiare oltre: lasciamo la parola al diretto interessato, cui va un sincero ringraziamento per la disponibilità e la possibilità di sbirciare nel suo mondo.
Eccoci di nuovo qui a chiacchierare: ne è passato di tempo da quando ci siamo conosciuti… se non erro, erano i tempi dei Full Effect. Cosa ti ricordi di quel periodo e cosa ti ha lasciato dentro?
Nicola Manzan: Erano esattamente i tempi dei Full Effect, la mia prima band. Probabilmente era il 1996 o giù di lì, quindi un bel po’ di anni fa. Mi ricordo che ero parecchio più giovane, molto inesperto, ma pieno di voglia di fare. Non sapevo di preciso cosa, non sapevo come muovermi nel mondo della musica “alternativa”, ma questo non era importante, ho preso subito molto sul serio la questione “band” e ho cercato di far sì che quello che stavamo facendo arrivasse a più persone possibili. Diciamo che di base c’era una bella dose di incoscienza e di ignoranza, nel senso che non avevo la più pallida idea di come si potesse fare per uscire dalla provincia, ma questo non mi ha mai fermato (anche se più volte ho pensato “non ce la farò mai”), anzi, semmai certi momenti di sconforto mi davano una spinta in più per cercare di emergere. Mi ricordo dei momenti molto belli, altri molto meno, ma sento che mi è rimasta la stessa voglia di fare le cose per bene e soprattutto mi è rimasta la “voglia di fare” punto e basta. Non sono un nostalgico, quindi non riesco a pensare che fosse meglio prima, anzi, dal mio punto di vista la crescita è stata graduale e costante, fino a portarmi dove sono ora. Devo dire che comunque quegli anni sono stati assolutamente formativi, almeno per imparare a suonare in una band, registrare dischi e trovarsi i concerti, tutte “basi” imprescindibili, per quel che mi riguarda.
Credi che l’essere riuscito ad andare avanti nell’era pre-internet abbia fornito delle armi o delle potenzialità in più, oppure credi che sia stato solo più faticoso e meno gratificante?
Di sicuro era meno gratificante e più faticoso. Però c’è da dire che era tutto diverso all’epoca, i tempi erano più dilatati per tutti, quindi da un lato era molto romantico spedire le cassette, le buste con le lettere scritte a mano, scambiare i flyer e via dicendo, dall’altro c’è da dire che il tempo che ci si metteva per fare qualsiasi cosa, dal trovare il contatto al vedere l’intervista pubblicata sulla fanzine (per dire) era un qualcosa di veramente snervante, a volte. Quando è arrivato internet che ha abbattuto i tempi e le distanze, per me è stato come un sogno: mettendo lo stesso tipo di impegno di prima sono riuscito a raggiungere molte persone in pochissimo e ovunque. Penso che sia stato un vantaggio per me il fatto di aver cominciato ad avere a che fare con la musica in questo modo, perché ha messo a dura prova la mia pazienza e la mia voglia di far parte di questo mondo. Diciamo che prima fare musica a un certo livello era cosa per pochi, visto che gli studi erano analogici e molto costosi, che le riviste erano quasi irraggiungibili, che lo spazio era quello che era; quindi bisognava avere delle forti motivazioni per andare avanti. Ora è decisamente tutto molto più semplice, da questo punto di vista (da molti altri no, per forza di cose).
Di cose ne hai fatte da quell’esperienza: hai composto, lavorato con altri e soprattutto ti sei dedicato a Bologna Violenta. Come fa una personalità forte come la tua ad adattarsi alle collaborazioni con altri musicisti, che tipo di emozioni ti dà poi ritrovarti a gestire in completa autonomia Bologna Violenta?
Penso che la mia personalità sia forte quando si tratta delle mie cose e delle mie idee. Quindi, per farla breve, se si parla di Bologna Violenta non ci sono questioni, l’ultima parola ce l’ho sempre io e, se le cose non sono fatte come voglio io, posso diventare parecchio “pesante”. Quando lavoro con altri musicisti cerco di capire cosa vogliono da me, nel senso che la cosa più importante è che gli altri siano completamente soddisfatti di quello che esce dai miei strumenti. Prima di tutto viene la loro musica, il loro modo di eseguirla e il loro gusto personale, poi ci metto il mio, sperando che rientri nei loro parametri. Ho suonato musica classica con molte orchestre, spesso non sapevo neanche il nome di chi condivideva il leggio con me, suonando spartiti di altri tempi con direttori che magari non conoscevo e che interpretavano i pezzi a loro modo; è così che penso di aver imparato a stare al mio posto, fare al meglio quello che mi viene chiesto e a dare risalto alla musica, perché comunque ogni volta che suono mi sento una persona fortunata. A volte ciò non è semplice, le personalità forti tendono a scontrarsi e non sempre si riesce a trovare un “respiro” comune mentre si suona, ma col tempo, conoscendo chi si ha al proprio fianco sul palco, penso che si riescano a limare molti attriti di vario genere.
Quindi, quando mi ritrovo a lavorare per Bologna Violenta, mi sembra tutto più semplice e lineare, anche se a volte ho un po’ di horror vacui, perché non c’è nessuno che faccia le cose al posto mio (almeno artisticamente parlando). Mi rendo conto che è molto più semplice fare il turnista, per certi aspetti…
Senza scadere nel pettegolezzo, quali musicisti ti hanno lasciato di più e con chi ti sei trovato più in sintonia? Che genere di rapporto si crea quando ci si unisce ad altri magari solo per un tour o in fase di registrazione?
Dovrei fare una lunga lista di collaborazioni e affinità-divergenze, come direbbe qualcuno. Diciamo che ho avuto un’esperienza molto bella e duratura con Alessandro Grazian, con cui ho fatto molti concerti e parecchi lavori in studio. Dal punto di vista musicale direi che eravamo in perfetta sintonia. Mi sono trovato bene anche con Francesco Bianconi, che è una persona molto gentile e con un cervello notevole, senza paraocchi (o paraorecchie) e sempre in cerca di cose nuove da imparare. Mi è sempre piaciuto suonare anche con i NonVoglioCheClara, sia in studio che dal vivo. Poi ci sono persone a me molto care, con cui ho condiviso molto, vedi Tommaso Mantelli (Captain Mantell) o Matteo Romagnoli (Garrincha Dischi, 4fioriperzoe), amici ormai da più di dieci anni con cui sono cresciuto e che mi hanno insegnato moltissimo.
I rapporti che si creano sono sempre molto diversi, perché non sempre si suona con amici o parenti (si fa per dire). Con i Baustelle e con Il Teatro Degli Orrori, ad esempio, ci siamo visti una volta per fare due chiacchiere e poi subito in sala prove a suonare i pezzi; in pratica spesso ho conosciuto prima i musicisti e poi le persone che c’erano dietro. La cosa bella è che a volte mi è successo di trovarmi benissimo con qualcuno sul palco, per poi scendere e odiarlo (ovviamente non faccio nomi), ma, come dicevo, questo dipende moltissimo dalla personalità di ognuno. In studio generalmente è diverso, nel senso che arrivo, faccio quello che devo fare e chi si è visto si è visto, quindi cerco di fare del mio meglio per quel che riguarda la parte musicale senza puntare per forza ad avere un rapporto troppo “intenso” con la band o l’artista in questione.
Prima dei Full Effect ci sono stati il violino e il tuo diploma al conservatorio, una formazione classica che viene fuori prepotentemente nella scrittura del nuovo album, forte di un lavoro di composizione e scrittura a dir poco sbalorditivo. Ti va di parlarci del dualismo tra preparazione classica e approccio iconoclasta del grind?
Bisogna precisare che il diploma è arrivato quando già avevo pubblicato il primo album dei Full Effect, quindi per un certo periodo mi sono preparato agli esami facendo comunque scorribande rumorose con gli amici. L’avere iniziato col violino a otto anni e di aver fatto tutto il corso di studio, ha fatto sì che sia riuscito ad avere una buona preparazione prima di tutto teorica, dalla scrittura all’interpretazione, ma molto importante a mio avviso è stato anche l’aver imparato ad approcciarmi alla musica con una grande disciplina, cosa questa che mi torna utile anche al giorno d’oggi. Ho imparato che un qualsiasi pezzo deve essere suonato un’infinità di volte prima che le difficoltà tecniche passino in secondo piano, lasciando spazio all’espressione vera e propria del musicista. Questo mi è tornato molto utile soprattutto quando si è trattato di imparare interi repertori di band che non conoscevo o conoscevo poco, ad esempio, ma mi torna utile anche per Bologna Violenta, perché c’è poco da fare… se suono male, i pezzi non rendono e la gente si annoia.
Quando ho conosciuto il grind avevo penso attorno ai quindici anni; all’epoca ero convinto che sarei diventato un musicista classico (col sogno di diventare una rockstar) e combattevo ogni giorno contro le stonature e gli errori di esecuzione per poter esprimere al meglio il mio animo di giovane musicista. Tutto questo con l’idea che, forse, un giorno avrei visto il mio nome sulla copertina di un disco, ma la meta era quasi irraggiungibile, perché le mie esecuzioni erano ben lontane dal poter essere incise. Il giorno in cui ho sentito un disco grind, ho capito che c’era della gente in giro per il mondo che faceva dischi nonostante il suo modo di suonare e di approcciarsi alla musica fosse l’esatto opposto di quello che mi avevano insegnato al conservatorio e per cui stavo combattendo. C’erano band che non conoscevano la musica e che non sapevano suonare un granché bene, ma mi emozionavano perché avevano qualcosa da dire e quel “qualcosa” era così forte ed espresso in maniera così brutale da riuscire a muovere la mia anima. Capirai lo shock che ho provato.
Ho passato anni a suonare musica classica e ad ascoltare musica pesa, di qualsiasi tipo fosse, ma solo nel 2005 mi sono messo seriamente a registrare un disco grind che suonasse come volevo io, ovvero brutale, ma suonato bene, cercando di esprimere quello che avevo dentro nel modo più forte possibile.
All’inizio ho sempre tenuto distanti queste mie due anime, volevo che Bologna Violenta fosse “l’altro Nicola Manzan”, ma con passare del tempo sono riuscito a trovare un accordo tra le parti e ora mi sento un po’ meno schizofrenico. Il mio timore era quello di fare un qualcosa che non mi rappresentasse, che non suonasse esattamente come volevo io, quindi ci sono sempre andato coi piedi di piombo, finché non sono arrivato a registrare il mio ultimo album, che credo dimostri che i tempi erano maturi per far pace con me stesso.
John Zorn parlava a proposito dei Painkiller della possibilità di condensare nel volgere di poche battute un’intera composizione, a testimoniare come l’estremismo sonoro sia in realtà tutto tranne che una faccenda sbrigativa e di sola pancia. Tu che ne pensi?
Credo innanzitutto che la musica sia da considerarsi sempre una cosa “di pancia”, altrimenti non si comunica un granché. Ci sono delle considerazioni da fare, però, perché l’estremismo sonoro ha varie implicazioni, tra cui, appunto, una può essere la brevità delle composizioni. Se all’inizio era un modo per andare controcorrente, per fare qualcosa di diverso dalla struttura “classica” della canzone, ora a mio avviso le cose sono cambiate, perché il modo di fruire la musica è diverso da quello di trent’anni fa, perché la vita è diversa e le cose da dire spesso sono altre. Io considero i miei pezzi come delle piccole composizioni in cui la necessità di ripetere dei concetti musicali viene meno, perché parto da un’idea di base che ritengo convincente e cerco di svilupparla nel migliore dei modi, senza avere l’esigenza di essere ripetitivo per catturare l’attenzione di chi ascolta. Una volta, nella musica classica, i pezzi erano scritti pensando che gli ascoltatori, fuori dalla sala da concerto, non avrebbero avuto modo di risentire a casa quanto sentito, come succede oggi, quindi i compositori erano costretti in un certo qual modo a riproporre lo stesso tema innumerevoli volte, variandolo, camuffandolo in ogni modo per cercare di “imporlo” all’orecchio di chi ascoltava perché rimanesse impresso nella mente. Ora basta mettere “repeat” e il pezzo te lo ascolti tutte le volte che vuoi ovunque tu ne abbia la possibilità.
Bisogna anche tener presente che viviamo in un mondo frenetico, in cui tutto succede in brevissimo tempo, quindi la noia arriva molto presto e bisogna cercare di essere sintetici e chiari quando si esprime un concetto di qualsiasi tipo. La musica di Bologna Violenta segue questa regola, anche perché in genere tendo io per primo ad annoiarmi, soprattutto se sto ascoltando musica.
Il nuovo lavoro amplia ancor di più lo spettro sonoro a te caro, tanto che viene da chiedersi cosa ascolti Nicola quando torna a casa e si chiude nella sua stanza. Quali i dischi che ti hanno cambiato la vita e influenzato di più?
Ascolto un po’ di tutto, come credo sia normale. Durante la giornata può succedere che metta su del grindcore come della musica classica, dell’elettronica o delle colonne sonore. Ho dei dischi che mi hanno cambiato la vita e che mi hanno influenzato, sono forse tantissimi, ma mi rendo conto che col passare degli anni ci sono alcuni che sono rimasti importanti e che nonostante tutto mi piacciono ancora come la prima volta, se non di più. Il primo che mi viene in mente è Hammerheart dei Bathory, che ho conosciuto tanto tempo fa ai tempi del conservatorio, mi passò la cassetta un amico pianista prima di andare a lezione di violino; la notte precedente avevo sognato di sentire una musica così epica che mi sembrava impossibile poter trovare un gruppo che la suonasse veramente: con mio sommo stupore in quella cassetta c’era esattamente la musica del sogno, coi cori, le chitarre pesantissime e un incedere che più epico non si poteva immaginare. Devo dire che questo è un disco che ascolto tutt’ora e che ha influenzato parecchio la scrittura del mio ultimo album.
Un altro disco è Harmony Corruption dei Napalm Death, l’album che mi ha avvicinato a questa band che tutt’ora apprezzo molto e che mi ha insegnato molte cose (non solo musicalmente). Poi gli Slint di Spiderland, disco che penso di aver ascoltato un milione di volte, gli Slayer di Season In The Abyss, Lo Spirito Continua dei Negazione e She Loves, She Loves Me Not dei Kiss It Goodbye, più un’altra marea di canzoni dei generi più disparati che però mi emozionano ogni volta che le ascolto. Le mie playlist sono di solito parecchio assurde, diciamo che non sempre riesco ad essere “lineare” negli ascolti.
Se il “Nuovissimo Mondo” appariva come una feroce fotografia di un mondo sempre più fuori controllo, oggi ci parli di utopie e soddisfazioni (seppure piccole), non è che stai diventando ottimista o, piuttosto, sei ancora più sottilmente perfido nel tuo cinismo?
Sono una persona ottimista, di base. Però mi piace essere ottimista dopo aver analizzato la realtà o le situazioni nel modo più spietato possibile. La mia vita è cambiata rispetto a quando ho scritto Il Nuovissimo Mondo, e forse questa è la grande differenza tra i due dischi, ma non è cambiato il mio modo di vedere il mondo, che continua a stupirmi e a disgustarmi allo stesso tempo. Quindi se da un lato ho fatto pace con me stesso, dall’altro non l’ho ancora fatta con la realtà che mi circonda e che ancora non mi piace. Non a caso non ci sono citazioni cinematografiche, ora che il progetto è molto più definito di prima non ho bisogno di “terzi” per dire ciò che ho in testa, diciamo che ho preso coraggio e lo faccio con la sola musica e poche parole, ben selezionate, ma senza indossare i panni di qualcun altro.
Di sicuro usi la melodia per rendere ancora più incisive le tue rasoiate e non certo per dar tregua all’ascoltatore, un po’ come un aguzzino che porge un bicchier d’acqua alla vittima per rilassarla prima del nuovo affondo. Ti dipingo troppo malvagio?
Non mi era mai venuta in mente un’immagine del genere, ma devo dire che hai colto nel segno. Uso gli archi in molti modi diversi e questo è uno di quelli; mi piace l’idea che un fraseggio di violini rilassi l’ascoltatore prima di riprendere a bastonate le suo orecchie. Mi piace giocare con l’attenzione di chi ascolta i miei dischi, mi piace creare sorpresa e stupore e gli archi hanno in genere un timbro così dolce che crea un contrasto molto naturale con le chitarre elettriche ed i blastbeat. In Utopie E Piccole Soddisfazioni penso di essere riuscito a fare qualcosa di più rispetto a questo semplice modo di utilizzarli, mettendoli anche nelle parti violente e veloci, in modo da creare un tappeto armonico molto forte che rende il tutto ancora più espressivo ed epico.
“Finale Con Rassegnazione” porta a compimento un matrimonio perfetto tra il Nicola musicista e il Nicola terrorista sonoro, dobbiamo considerarlo un esperimento o un’anticipazione di un possibile futuro?
Be’, di sicuro è un esperimento, come tutti gli altri pezzi del resto! Non era una mossa per così dire “premeditata”, semplicemente mi sono messo a scrivere degli archi per un eventuale pezzo e con l’andare del tempo il tutto ha preso una piega tale che poteva tranquillamente essere il finale del mio disco. Non nascondo che mi piacerebbe molto che “da grande” il progetto fosse accompagnato dagli archi, soprattutto dal vivo, ma non so se e quando questo succederà. Nonostante tutto mi manca suonare in orchestra, quindi cerco nel mio piccolo di ricrearmi quello spazio in cui stavo comunque bene. Di certo, comunque, non sto pensando per il momento di fare altri pezzi da sei minuti di soli archi, giusto per essere chiaro!
Oltre al nuovo Bologna Violenta, cosa ti tiene impegnato in questo periodo, hai altri progetti o collaborazioni in cantiere?
Ho parecchie cose in cantiere, devo preparare alcuni pezzi per delle compilation, dovrei fare qualche split con dei gruppi, ma sono solo delle idee al momento. Sto iniziando a fare dei lavori in studio per dei progetti nuovi per me molto interessanti e importanti, ma al momento è un po’ troppo presto per parlarne (sono ottimista, ma sono anche molto scaramantico).
Per quel che riguarda Bologna Violenta, sto cercando con la mia etichetta (Dischi Bervisti) e con Audioglobe di far uscire il disco in Europa, questo grazie anche all’aiuto di OffSet e di Wallace Records (che mi daranno una mano a stampare il disco in vinile).
Grazie mille per il tuo tempo, concludi pure come preferisci…
Grazie infinite a te e a The New Noise per il supporto, io sarò in tour ancora per un po’ e al momento ho un sacco di idee in testa che sto cercando di sviluppare al meglio per poterle anche far uscire dal mio studio e dalla mia testa. ne approfitto per ricordare che è online il sito bolognaviolenta.com dove ci sono le news, le date dei concerti e tutto quello che può riguardare il progetto Bologna Violenta.
NESSUNA POLITICA
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BERVISMO PER PIÙ