Bologna suona: diario semi-serio su una città musicale che ho sempre amato
“Largo all’avanguardia, pubblico di merda!”…
Fa strano scrivere di cose che sai di conoscere a menadito, e che sono legate al luogo nel quale hai vissuto per molti anni. Bologna è un comodo bivacco dove c’è posto per tutti, ed è la “Città creativa della musica” secondo l’Onu, che qualche anno fa le ha assegnato tale prestigiosa onorificenza in condivisione assieme a Gent, Glasgow e Siviglia.
La storia che vi voglio raccontare – sia chiaro, assolutamente parziale e figlia delle mie personali esperienze di fruitore, prima che di critico musicale più o meno impegnato – è un doveroso excursus che parte da lontano (ma non troppo, per quello c’è sempre il più che esaustivo “Largo all’Avanguardia”, Edizioni Sonic Press, curato da Oderso Rubini: leggetelo, ne vale la pena).
La città, dicevamo, è sempre stata un crocevia di personaggi legati alla musica, che le hanno dato lustro e visibilità (se vi fate un giro al Museo Della Musica in Strada Maggiore troverete testimonianze del passaggio di Wagner, Mozart e Rossini, nientemeno), perciò è naturale che si sia sviluppata una spiccata propensione per questo specifico campo artistico.
Io che invece sono figlio del tardissimo dopoguerra, che ho subìto insieme ai miei coetanei le mille influenze del rock and roll (specie dopo che s’è sviluppato e ha conosciuto il proprio zenit) provo a darvi testimonianza di questo lungo iato, che potrebbe benissimo partire dagli anni Settanta, ma che per comodità e onestà intellettuale circoscriverò agli ultimi vent’anni, quelli più vicini alla mia esperienza.
Un po’ di storia e tanti ricordi
Innanzitutto non è mai stato strano che la città, oltre a dare i natali a mille band, accogliesse con regolarità eventi dal vivo di una certa levatura (quasi banale menzionare i soliti Clash in piazza Maggiore, o Patti Smith). Quindi la predisposizione ad accettare proposte musicali altre rispetto alla cosiddetta musica leggera italiana è un dato incontrovertibile. Nei primi Ottanta è tutto un pullulare di realtà che nascono all’ombra del mito del rock anglosassone (Skiantos in primis) o dalle sue diramazioni più oblique (Italian Records e i Confusional Quartet, tra l’altro appena tornati in pista dopo lunga inattività). Nei Novanta nascono le prime esperienze nei centri sociali autogestiti, che si fanno sempre più vivaci, tanto da alimentare una proposta ludico-culturale sempre più eterogenea e vicina all’Europa. Nascono realtà come il Livello 57, con le posse a farla da padrone [1], o il Link, che vivrà anch’esso la sua affermazione definitiva in quegli anni insieme a Estragon [2] e Covo Club [3]. Fino ad arrivare ai giorni nostri, con a fianco di questi due il Locomotiv [4]… ma elencarli tutti è lungo e diventa pure pernicioso.
Dicevo della lungimiranza di una città aperta come questa, faccio un esempio: i leggendari Chrome dell’oggi defunto Helios Creed che suonano a inizio Ottanta nel parco dell’ex Manifattura Tabacchi, là dove ormai da anni opera la prestigiosa Cineteca (me lo confermò tempo fa un bolognese doc, benché noto outsider trapiantato a Roma, il film-maker Roberto Nanni). Ma anche Siouxie And The Banshees, Sun Ra e Miles Davis, addirittura. Questo per far capire di che pasta era già fatta una città di passaggio chiaramente votata alle più disparate forme d’arte, un avamposto dove trovavano spazio la vis dissacratoria del fumetto Ranxerox, inserito tra le pagine infuocate della rivista Frigidaire di Filippo Scozzari, e i disegni all’eroina di Andrea Pazienza. Pure un giovanissimo Keith Haring operava su invito di Francesca Alinovi, promettente critica d’arte contemporanea protagonista di quell’assurda vicenda che la vedrà vittima di un suo allievo della sempre più frequentata Accademia di Belle Arti. Per non parlare poi delle continue attività culturali in seno proprio all’Alma Mater (tra i concerti nell’aula Magna S. Lucia una menzione speciale va a quello di Arvo Pärt). Per la storia della città hanno uguale importanza, non solo simbolica, l’omicidio Lorusso (in via Mascarella c’è una lapide che ricorda la sua tragedia), collegato all’irruzione nell’appartamento di Radio Alice in via del Pratello, dove si tentavano i primi esperimenti avulsi dalla logica statale della cultura inculcata da mamma Rai.
Nascono poi festival importanti come Angelica [5] (col decisivo apporto del compianto direttore Mario Zanzani) o Netmage [6] (ora diventato Live Arts Weeks, sempre ad opera dei tipi di Xing, a loro volta anche gestori del Raum [7] in via Cà Selvatica) che per tanto tempo ha fatto coppia con la frequentatissima Arte Fiera in pieno inverno. In mezzo si trovano cose al limite della violenza fisica, come la furia analogica dei Pan Sonic al Palazzo Re Enzo per il Robot Festival (le mie orecchie hanno goduto e sofferto alquanto in quella occasione). Fino ad arrivare a esperienze al limite del do it youself più carbonaro come Sant’Andrea Degli Amplificatori [8], dove sono passati anche mostri sacri del calibro di John Duncan (tra le altre cose l’ex Lafms vive ed opera da anni in città con annessa etichetta, la All Questions). Insomma: la città emiliano-romagnola sembra non dormire mai, cova sotto la cenere tutta una serie di idee piccole che man mano crescono fino a diventare prestigiose col passare del tempo. Per qualche anno c’è stata pure “BE – Bologna Estate”, nel corso della quale assistetti a un divertentissimo concerto di Mike Patton con i suoi Mondo Cane, ma anche alla lunga esibizione di Antony & The Johnsons, in vero stato di grazia.
Non va certo dimenticato che in un posto come questo ha mosso i primi passi la gente più disparata che ha fatto la storia della musica leggera italiana (inutile fare i nomi, tanto li conoscete già), ma che mai ha dimenticato la sua natura di laboratorio (la Garrincha Dischi di Matteo Costa, piccola officina pop dove trovano ospitalità le cose più eterogenee, da quello all’acqua di rose e i testi à la Moccia di Jocelyn Pulsar, agli esperimenti weird di gente estrosa come I Camillas). Senza dimenticare la più matura Trovarobato [9]. Se guardiamo nel passato recente non dobbiamo dimenticare neanche Valerio Tricoli col suo collettivo ¾ Hadbeeneliminated, le varie entità di Stefano Pilia o la gloria che non perde mai il suo smalto e che risponde al nome di Massimo Volume (vi confesso che mi fece uno strano effetto imbattermi tempo fa in un ristorante di cucina vietnamita e vedere Mimì Clementi alle prese con moglie e prole al seguito). Per non parlare degli Starfuckers, cani sciolti di un modo di fare musica che è diventato vera storia per tutto il territorio nazionale, quindi non soltanto per la città dotta. Anche in questo caso: i loro dischi si trovano nei mailorder più importanti della musica alternativa odierna (Aquarius Records e Boomkat possono bastare come esempi).
Sempre in tema di cani sciolti non posso non ricordare il lavoro di un outsider come il campano Fabrizio Matrone, musicista diy che continua a lavorare sottotraccia in questa città con i suoi progetti, quello di stampo ambient (Heidseck) e quello più electro (Matter). Da qualche tempo si è accasato presso la label ucraina Kvitnu, e promette di continuare sul solco che ben conosce e percorre da tempo.
Per anni ho abitato alle porte del centro, e vicino casa c’era e tuttora opera Atlantide in Porta Santo Stefano, luogo di aggregazione (di fronte c’è pure il circolo anarchico Berneri) collegato all’Arcigay e al Cassero. Lì ci ho ballato un paio di volte ed in una occasione soltanto ci ho visto un concerto: Zeni Geva e gruppi di supporto. A onor del vero neanche feci in tempo a godermeli, visto che suonarono ad un orario improponibile e, dopo i numerosi act di apertura abbandonai il locale; qualche giorno dopo venni a sapere che ai tre jap fu dato un benservito che li fece scappare via sdegnati (volarono lattine in faccia a uno di loro, per la cronaca). Tant’è, rimane sempre un posto interessante dove conoscere gente della più disparata risma.
Un negozio che ho sempre amato frequentare è stato poi Modo Infoshop [10], libreria con annesso bar, dove spesso trascorrevo le mie serate tra alcol e chiacchiere con gli amici. Non dimentichiamoci i numerosi libri, stampe, e i cd che ci potete sempre trovare, cataloghi come quello di Boring Machines o dell’ormai defunta Bar La Muerte sono di casa da tempo. Ora che mi ricordo ci vidi pure un paio di concerti niente male, Arrington De Dyoniso (Old Time Relijun) in solitaria e Xabier Iriondo con Roberto Bertacchini degli Starfuckers (folle impro-fuzz rock il loro, a nome The Shipwreck Bag Show).
Altro luogo che merita di venire ricordato è l’XM 24 [11] (centro sociale tipicamente anni Novanta dove suonano le realtà più estreme) a un passo dalla stazione ferroviaria, e con quell’ecomostro che è praticamente la nuova sede della Regione, che se ci passi vicino di notte senti un ronzio infernale da procurarti un mal di testa all’istante.
Altra realtà da tenere presente, proprio perché è nata in città, è il web-magazine SentireAscoltare. Il direttore, Edoardo Bridda, si aggira spesso per i locali ad assistere ai numerosi concerti e a dire la sua sulla musica più in voga del momento. Me ne viene in mente un altro di posto dove m’è capitato di passarci piacevoli serate, la galleria Spazio Elastico [12] (prima si chiamava Fragile Continuo), un bugigattolo gestito da tre agguerritissime ragazze dove ci potete trovare mostre di arte contemporanea e concerti incredibili. Come non ricordare poi lo storico Underground Records, compianto negozio-cornucopia dove potevi trovare davvero di tutto (il post-rock per intero): io ad esempio acquistai una ristampa degli Swans, un poster dei Melvins firmato Frank Kozik, e Music, Martinis and Misanthropy di Boyd Rice. Altro negozio poi trasferitosi a Roma era il mitico Mondo Bizzarro, dove c’era un po’ di tutto, dalla rivista garage-punk Gearhead ai fumetti di Robert Crumb e Miguel Ángel Martín, ai poster con Edwige Fenech e alle vhs di Cannibal Holocaust et similia. Mi accaparrai un altro poster, sempre di Kozik, degli Unsane con il faccione di Charles Manson in bella vista.
Saluti e grazie
Poi arriva un giorno che decidi di cambiare città, destino comune a tante persone che hanno vissuto qui, perché la tua vita ha imboccato altre vie. Inizi frettolosamente a fare un resoconto delle esperienze passate, e a pensare a quante volte sei stato al Bar Maurizio in via Guerrazzi a fare aperitivi al limite del collasso etilico, a quante centinaia di volte hai percorso i portici di via Santo Stefano, anche sotto la neve, alla sempre folle e barricadera via Zamboni, alle facce incredibili che hai incrociato in Via del Pratello. Alle bestemmie che pronunciavi di nascosto quando pagavi un aperitivo nove euro o a quella volta che al lavoro hai mandato con enorme piacere a quel paese Fabio Volo, mentre i tuoi amici erano allegramente a sbronzarsi da qualche altra parte. Queste cose non vi interessano, lo so. Interessano a me però, ci tenevo a raccontarvele, anche perché una passione non è mai svincolata dalla vita di tutti i giorni.
Poscritto
In ultimo ci tenevo a precisare che non ho preso un centesimo da nessun ufficio stampa della città, e non me l’ha ordinato il dottore di scrivere questo articolo. D’altronde se volessimo parlare delle criticità che Bologna vive da tempo faremmo notte. Solo mi andava di omaggiare un luogo nel quale tutto sommato sono stato più che bene, e questo deve bastare.
*Un grazie particolare a Roberto Ruggeri, appassionato di musica, e Oderso Rubini (persona seria) per avermi fatto dono, senza conoscermi, di una copia di “Largo All’Avanguardia”.
[12] Tra i tanti: Decimus (progetto di Pat Murano della No-Neck Blues Band), Alberto Boccardi, Jooklo Duo, Nicola Ratti, Pink Reason.