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BOB MOULD, Here We Go Crazy

11 brani-31 minuti: non c’è mai stato un secondo di troppo nei pezzi scritti da Bob Mould. Se è vero che, ogni volta che metti su un suo nuovo album, la prima cosa che ti prende è un groppo alla gola per la tremenda sensazione del tempo passato dalla prima volta che hai sentito Zen Arcade, il (tuo) primo Hüsker Dü, per fortuna è sufficiente che ti lasci andare al flusso delle canzoni che da sempre trafiggono cuore e mente, e tutto torna per il verso giusto, no ansia: Here We Go Crazy è il 15esimo album a nome Bob Mould. Lui oggi vive tra San Francisco e il deserto californiano, nel 2023 ha sposato il suo compagno e dopo che il candidato democratico alla vice-presidenza Tim Waltz (governatore del Minnesota, di dov’erano gli Hüsker Dü) si è dichiarato suo fan, la sua visibilità è improvvisamente aumentata, e ancor più ora con i temi da caccia alle streghe imposta agli Stati Uniti da Trump: “sembra un incubo”, “siamo in guerra”… solo alcune delle riflessioni di Mould raccolte da riviste musicali americane.

Il disco è autoprodotto e registrato in parte a Chicago negli Electrical Audio Studio di Steve Albini: la sequenza dei brani è pensata per stare su di un vero ellepi (c’è il vinile ma anche il cd oltre alla versione liquida) e alla magnifica apertura, che dà il titolo alla raccolta, segue una raffica di composizioni tiratissime ma dal proverbiale chiaro, trasparente sound a cui  Bob Mould ci ha abituato fin dai tempi di Copper Blue, primo cd degli Sugar: “Neanderthal”, “Breathing Room”, “Hard To Get”, “When Your Heart Is Broken”, “Fur Mink Augurs”… che dire, sono una più bella dell’altra, non c’è il minimo segno di routine, l’urgenza  espressiva è intatta con in più la maturità di un artista che non ha perso la voglia di lottare, anzi ora più che mai è sulla strada a testimoniare – alla stregua di un Bernie Sanders punk – che l’Altra-America non si rassegna. Stesso discorso vale per il lato B, con l’elettricità di “Lost Or Stolen”, “Sharp Little Pieces”, “You Need To Shine”, tre pezzi memorabili quanto il lavoro di Jason Narducy al basso e di Jon Wurster alla batteria, sezione ritmica-macchina da guerra con cui Mould condivide fin dal 2010 il lavoro in studio e quello in concerto, quando l’improvvisazione è elemento creativo centrale (Bob dixit). Chiudono “Thread So Thin” e “Your Side”, due ballad struggenti e di ampio respiro da far accapponare la pelle, ed ecco il groppo alla gola che risale, perché se c’è qualcosa che ha sempre caratterizzato Bob Mould è l’approccio sentimentale alla musica come alla vita, nonostante tutto!

Un ricordo personale: anno 1993, atterrato dall’Italia a LAX da un paio d’ore (interminabile fila all’immigration, figuriamoci oggi), leggo sul Los Angeles Times che gli Sugar suonano alle 10 di sera all’Hollywood Bowl, circa 25 km da Santa Monica dove alloggio. Il mio orologio batte le 3 di mattina (ora italiana), scendo di corsa per affittare una macchina, ma nulla tranne una moto Honda 250 cc, ci penso un attimo, la prendo. Arrivo che gli Sugar stanno salendo sul palco, platea piena, atmosfera elettrica, volano due ore per un live pazzesco pieno di lunghe improvvisazioni, emozionante, che passa in rassegna anche il catalogo Hüsker Dü, ed è il delirio generale. Finisce che sono le mie 9 del mattino. Nella notte, tornando in moto verso l’Oceano, di cui ad un tratto si percepisce l’odore, realizzo che la stanchezza come il “tempo” sono entrambi svaniti, effetto Sugar. Bob Mould suonerà il “Solo-Electric show” l’11 novembre a Roma, il 12 novembre Milano, a Berlino il 23 novembre sarà in “rio Here We Go Crazy”.