Bob Dylan, Retrospectum
Roma, Maxxxi – 16 dicembre 2022 > 30 aprile 2023.
Incipit: non di musica ma di una esposizione di quadri e sculture qui raccontiamo.
Bob Dylan (Hibbing, 1941) è il fenomeno musicale, assieme a Beatles e Rolling Stones, più storicizzato, sputtanato della cultura pop, dai media tout court, ok, e però… con una strategia di apparizioni/sparizioni multiple, un’innata attitudine pre-punk, il perenne stravolgimento dal vivo dei suoi pezzi più conosciuti, l’idiosincrasia assoluta per il mainstream e la celebrità, le celebrazioni, ma soprattutto la strabiliante musicalità dell’allestimento di questa retrospettiva di opere anche inedite, recentissime, che arrivano in mostra dopo Miami e Shangai in prima europea al MAXXI di Roma, Dylan rimane una questione, vivaddio, irrisolta.
Altra, breve, premessa: non sono un suo “ultras”. Avendo poi assistito negli anni Novanta a due concerti elettrici, punk, per i tour di Oh Mercy, contenente il capolavoro “Political World” (1989, prod. Daniel Lanois) e di Under The Red Sky (1990, prod. Don Was/Jack Frost), ecco proprio con quei live sporchi e tiratissimi è scoccato l’amore, e lo spasso nel vedere i fan storici disperati per non riconoscere le canzoni ha poi sadicamente completato la seduzione. Le precedenti “pietre miliari”, prima fra tutte Blood On The Tracks (1975), certo non si discutono, ma questi sono, nella grande discografia dylaniana (39 album e circa 650 canzoni), i miei preferiti vieppiù mettendoli in relazione ai quadri esposti in questi giorni al MAXXI, dei quali sarebbero una perfetta colonna sonora.
Concepita da Dylan e il suo staff nel 2017, arricchita per Roma da opere successive a quella data – per esempio “When I Paint My Masterpiece” (la Scalinata di Trinità dei Monti) è del 2020, “Marlboro Man” del 2021 – e coprendo quindi un arco di tempo di circa 60 anni, è a tutti gli effetti la mostra più completa mai allestita. Otto sono le sezioni in cui è suddivisa Retrospectrum: 1 Early Works – 2 The Beaten Path – 3 Mondo Scripto – 4 Revisionist – 5 The Drawn Blank – 6 New Orleans – 7 Deep Focus – 8 Ironworks, per un totale di circa 100 opere.
Si viaggia molto, si attraversano i deserti dell’Arizona, villaggi sperduti, Motel abbandonati, metropoli decadenti, le pianure del Midwest fra le ampie sale del MAXXI romano, si viaggia in una visione di derivazione hopperiana, ma il segno è più sporco di quello di Edward Hopper, espressionista à la Die Brucke. Nel catalogo edito da Skira, Dylan spiega: “La vita non è cercare sé stessi o cercare qualcosa, la vita è creare sé stessi, creare qualcosa… le apparenze spesso ingannano, la prima idea per questa serie di dipinti è stata quella di creare immagini che non si prestassero ad essere fraintese, i quadri sono accomunati dallo stesso tema: il paesaggio americano, osservandolo per quello che è, restando fuori dalle grandi arterie, percorrendo le strade secondarie in totale libertà. “Credo che la chiave del futuro risieda in ciò che resta del passato e che sia necessario padroneggiare i linguaggi del proprio tempo per poter acquisire un’identità nel presente” e continua “ho cercato di creare immagini bidimensionali utilizzando un sistema matematico. A volte sfondo e primo piano convergono, l’elemento principale è lo scenario naturale”.
In realtà in questa mostra, oltre ai disegni, ai trittici, ai quadri nella serie “Revisionist” si possono anche ammirare le copertine reinventate di Life o Art News e quelle improbabili di Fruitcake e Magnatude, prime-pagine ancor più artefatte di quelle create da Warhol per Interview, e nella sezione “Ironworks” ci sono le grandi installazioni e sculture in ferro, materiale che gli è particolarmente familiare essendo cresciuto nell’Iron Range, la catena montuosa del ferro del Minnesota. E lui da ragazzino, racconta, sempre lì a giocare in mezzo a depositi e camion e discariche zeppe di vecchi arnesi. Facile ora, a ottanta-e-passa anni, immaginarselo nel suo loft/garage riappropriarsene con gran godimento. Un sogno che s’avvera con tutti quei manici e volanti e cerchioni e catene e pezzi arrugginiti a disposizione provenienti da desertici junkyard pieni di archeologiche Cadillac, Buick Riviera, Ford Mustang, creando inquietanti sculture come la destrutturata “Gangster Door”, dedicata a J. Dillinger, Machine Gun Kelly e Al Capone! Con le portiere impilate una sull’altra, tanto imponente quanto fragile, e poi ancora i cancelli arrugginiti ma luccicanti, arzigogolati, cancelli come porte della percezione dagli arabeschi psichedelici, d’altronde sempre stata arrugginita e psichedelica la voce di Robert Allen Zimmerman: “Get lost, get up off my knee – keep your mouth away from me – I’ll keep the path open, the path in my mind -I’ll see to it that there is no love left behind – I play Beethoven sonatas and Chopin’s preludes – I Contain Multitudes”.
Non vi perdete Retrospectrum, noi tutti conteniamo moltitudini.