BLUESHIT, 60 tracks 2003 – 2021
Pronti per il Chihuahua sound? Ne siete certi?
Blueshit, creatura fondata e portata avanti da Javiér Gonzales e José Arturo Hinojos, si è mossa su ritmi lenti, caracollanti e sudici per circa 25 anni. Le informazioni su di loro sono praticamente inesistenti, quel che abbiamo in mano sono l’ascolto e le scalette di due cd, 30 pezzi sul primo e 30 sul secondo. Qualità del suono approssimativa, ronzii, influenze riconoscibili come messicane dopo qualche brano e, ovviamente, quando dall’inglese passano allo spagnolo il risultato è subito più caloroso e ganzo, perché riescono a unire umori latini, kraut e r’n’r, come dei Suicide sbronzi di tequila che hanno appena aspirato una bombola d’elio.
Calandoci nel quadrato di battaglia, i Blueshit si confermano una botta narcotica e inebriante al medesimo tempo, capaci di viaggiare per mondi e ambienti molto diversi tra loro, tanto da spingersi verso uno spoken word a un passo dal rap sopra radissimi handclap e una bava sonora fino alla fine di “Extiende La Mano”. Poi sopravvivenze su arie subito sopite, sistemi che vengono portati avanti per un primo disco che ben ci fa calare nella loro realtà. Con la seconda parte del lavoro non andiamo su altri lidi ma approfondiamo la mezcla che permetteva ai Blueshit di rimanere in qualche modo sulla breccia nel loro stile. A un certo punto arriva una voce femminile e il duetto sul rapping stentoreo di “Blow Me Like The Dust” è semplicemente stupendo nella povertà esibita. Altri brani, come ad esempio “Amor Gore In Harvard”, fanno ancora capire che il meno può essere davvero un’arma, giocando in un campionato che a tratti pare lo stesso di Mr. Quintron, magari dopo una vacanza da Vangelis per un paio di ripetizioni pomeridiane. In questi dischi c’è un mondo, una città che i Blueshit hanno percorso per una buona ventina d’anni incontrando, facendo infuriare o sposare coppie, aizzando risse e sedando scontri. Noi non c’eravamo, ma grazie a Ramble Records finalmente possiamo immaginare questo dosato divertimento, questo gioviale trance rock’n’roll e questa voce, assurda, che ti si infila per le orecchie soggiogandoti come il peggiore degli illusionisti di provincia.
Ci sentiamo un po’ adottati anche noi dalla cittadina, fischiettando allegramente. Gruppo talmente laterale che è impossibile non amare, specie imbattendosi in questa raccolta. Entrate solo se convinti, uscire sarà impossibile.