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BLESSED CHILD OPERA, Red Flags

C’era un po’ di agitazione nell’ascoltare il nuovo disco dei Blessed Child Opera, la creatura principale di Paolo Messere, che mancava dagli scaffali delle novità dei negozi dal 2018. Mi è capitato spesso di parlare con Paolo negli ultimi anni, seguendo, approfondendo e amando il progetto The Big Self, che ci ha regalato due album stupendi. A un certo punto mi era stato anche chiesto di prendere parte alla promozione del nuovo Blessed Child Opera, ma ciò che bramavo, in realtà, era questo momento.

Mettere le cuffie una domenica mattina di maltempo e lasciarmi coinvolgere da Paolo e Matteo Anelli nell’ennesimo capitolo della loro storia. Dopo lo splendido attacco strumentale di “Love Codex”, con un violino che taglia l’aria, ci si ricollega al loro mondo magico: un mondo dove il folk rock si sposa alle intuizioni più liriche degli anni ’80, quando new wave e post-punk cercavano nuovi territori. Red Flags cerca di essere un esempio di come, letteralmente nelle intenzioni dei due, “… l’anima, il cuore e la testa possano reagire alla perdita e alla separazione”. La musica di Blessed Child Opera si esprime dunque come un lenitivo, suadente, misteriosa e sensuale. Spesso mi trovo a pensare a loro come il gemello separato alla nascita dei Black Heart Procession. Alla stessa maniera del gruppo di Pall Jenkins, anche Paolo ha saputo assorbire determinate influenze, come la Spagna di “Punitive Silence”, che sta alla Sicilia come il Messico alla California. Si tratta in entrambi i casi di due progetti che in qualche modo sono stati grandi per poi esprimersi con forme differenti.

Riascoltare questa passionale espressione conforta e ci fa capire che non siamo soli nei tormenti, nelle vicissitudini e nei dubbi, ma soprattutto che negli sguardi e nel non detto di molti ci si riconosce. Siamo esseri umani, massa e corpi: questi corpi possono essere fatti oscillare con la musica, ritrovandoci a seguire il medesimo ritmo, in comunione. Sarebbe bello se i Blessed Child Opera riuscissero a fare questo con i brani di Red Flags, entrando pian piano nelle teste e nei cuori. Le percussioni di “Old Stains” reggono gesta e racconti oscuri, con doppie voci e flauti che ci trasportano in un mondo torbido che esplode caldo come un cuore lacerato, con un ritmo che ci abbandona nella notte buia. Gli astri vaganti di “Trembling Stars” ci portano di nuovo in quel crogiolo culturale e poetico citato sopra, a dimostrazione di quanta ricchezza si possa esprimere con arrangiamenti parchi ma allo stesso tempo trascinanti. Probabilmente basta poco, la capacità di elaborazione, il trovare la via corretta per unire gli elementi. Pochi, difficilissimi elementi, per far sì che il messaggio arrivi nella giusta forma, senza cadute di tono, come in Red Flags.