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BLACKWOOD, As The World Rots Away

BLACKWOOD, As The World Rots Away

Inutile soffermarsi ancora una volta sulla figura di Eraldo Bernocchi e sul suo ruolo all’interno della scena musicale odierna, un nome con cui ormai dovreste avere familiarità e su cui siamo tornati molte volte. Di certo si tratta di un artista dal quale è lecito aspettarsi molto, sia a livello di ricerca sonora, sia di cura nell’utilizzare la stessa al servizio di un percorso organico. In questo caso specifico, il progetto affonda le proprie mani nell’oscurità e nelle tempistiche del doom, in particolar modo nelle sue declinazioni drone, su cui innesta il proprio bagaglio personale e di frequentazioni, a partire dal dub che si insinua subdolo e spesso quasi impercettibile nelle coltri di questo As The World Rots Away. La sensazione predominante durante l’ascolto è quella di una totale mancanza di ossigeno, sostituito dagli umori umidi e dai gas prodotti dalla putrefazione di piante e organismi presenti nella grotta in cui veniamo scaraventati, un antro in cui si annidano forze oscure che il musicista appare intenzionato ad evocare con i suoi rituali raccapriccianti (“Purtridarium”). La quantità di mezzi espressivi a disposizione di Bernocchi, seppure piegati e ridotti all’osso per non stemperare l’effetto claustrofobico del tutto, dona una personalità ben delineata a questo lavoro e lo distacca dal ruolo di mero disco di genere legato alla scena (drone) doom attuale. Non siamo, ça va sans dire, di fronte ad un prodotto adatto a tutti, né ci si possono aspettare squarci di luce che spazzino la sensazione di disagio che ci accompagna lungo l’ascolto, ma si tratta comunque di un disco che potrebbe attirare nella sua tela anche chi solitamente non apprezza simili varianti sonore grazie agli input “altri” che Bernocchi distilla con abilità lungo il tragitto. Così, seppure ad una prima impressione si potrebbe essere portati a concentrare l’attenzione sul quadro generale e sulla natura monolitica dei brani, con l’avanzare degli ascolti ci si rende conto di trovarsi ancora una volta al cospetto di una mutazione sonora di quelle per cui l’autore è – a ragione – considerato un punto di riferimento imprescindibile.  Da ascoltare tutto d’un fiato, ovviamente a luce spenta.