Black Winter Fest VII, 6/12/2014
Brescia, Circolo Colony. Grazie ad Alex Czech per le foto. Copyright Alex Czech.
Il Black Winter Fest raggiunge quest’anno la sua settima edizione ed è un evento imperdibile per gli appassionati. Brescia ricerca sempre band di altissimo livello musicale, che abbiano scritto pagine importanti della storia di un genere sempre controverso, e non demorde nemmeno con la line-up di quest’anno: uno sguardo sulla scena italiana contemporanea, la riesumazione dei Necrodeath e le due realtà migliori del momento, cioè Darkened Nocturn Slaughtercult e soprattutto Satanic Warmaster. Arrivo al Circolo Colony nel pomeriggio, in tempo per godermi tutti i set e fare un giro per le distro: tra le presenti, oltre a quelle dei gruppi, la FOAD Records e White Wolf Distribution, piene di rarità a ottimi prezzi. Mi armo di birra e seguo il claustrofobico soffitto dai divanetti verso la hall dove si celebreranno i riti. La serata è curata dalla Nihil Prod, che insieme al Colony riesce a far rispettare abbastanza gli orari e ad attenersi alla professionalità che un festival di questo calibro necessita.
Si comincia verso le cinque e mezzo, con il locale che deve ancora riempirsi. I Soulphureus arrivano in maschera per sfoderare una motosega di giri black death pesanti e grintosi. Il travestimento, simile a quella di Leatherface, aiuta a creare un’atmosfera vicina all’immaginario di Vince Locke, il celebre illustratore gore. Nonostante la violenza più di stampo death thrash, i collegamenti con il black metal non mancano nel sound della band di Bergamo e questo fa sì che ben si inserisca nel contesto. Il festival apre così suoi cancelli infernali.
Una buona continuazione, in quanto non opposta ai Soulphureus, è il live degli Stigmhate. Più dediti a un black metal caldo, i vicentini esaltano lo spirito della serata, senza dimenticare come si picchia la batteria in ambito death, genere al quale parte del loro repertorio deve qualcosa. In ogni caso la grinta si fa sentire e lo spettacolo ne subisce gli effetti: il pubblico, ancora un po’ disperso, apprezza e nessuno distoglie le orecchie da riff che con il passare del tempo si fanno sempre più concreti e pesanti, come a fossilizzare un’unica linea stilistica da seguire.
Un taglio netto è quello dato dalle lame dei Surge Assault, che si fanno riconoscere per le caratteristiche fuori dal coro. Siamo in campo black thrash, quello che ci riporta alle origini del black metal, con influenze “nordiche” e tedesche. Ciò non vuol dire che il suono sia datato, anzi è un’ottima reinterpretazione di un genere che sembra abbia ancora da dire la sua, soprattutto in questi anni. Chitarre epilettiche e batteria costante lasciano fuoriuscire il sound più grezzo che sentiremo oggi. Tutto questo, se unito a un frontman in occhiali da sole che distribuisce birra e spezza le canzoni a tempo di “urgh”, non può che far esplodere soddisfazione.
Dopo aver visto tre gruppi giovani, subentrano più schietti gli amplificatori dei The True Endless, attivi dal 1997 e spesso presenti agli eventi in area limitrofa. Facepainting e negatività, guerra e occultismo, si notano presto i tratti principali del trio di Novara, che tinge di rosso le pareti del Colony con il sangue del pubblico, sempre più numeroso sotto al palco. La performance è impeccabile, la compostezza e la manualità sono testimoni della storia della band, stasera in splendida forma, che riesce a rendere molto chiaro il proprio messaggio. Un brano che alterna la voce in pulito con lo scream è una sorpresa, una coraggiosa appendice a un concerto autentico ed estremo.
A seguire gli Handful Of Hate, che festeggiano i loro vent’anni dopo aver stupito molto con l’ultimo To Perdition, nel quale viravano in modo leggero le armoniche. Dico subito che il live è studiato e rende molto, ma i suoni sono più graffianti di quanto mi aspettavo, il che può essere un bene, però non si nota la curva accennata nell’album in questione. Anche qui si coglie l’esperienza sulle spalle dei toscani e la totale coerenza con quello che hanno fatto per tutto questo tempo, tanto che non sono pochi i fan che sotto il palco inneggiano ad un bis dopo che le urla smettono di essere vomitate e le chitarre esauriscono la benzina che ha bruciato il locale con riff black metal che non lasciano fraintendimenti.
Un altro spartiacque sia in campo di genere, sia di tempo, è quello dato da uno degli orgogli italiani: i Necrodeath. È notevole vedere che una band con una storia lunga e travagliata, arrivata fino a noi, aderisce tutt’ora agli ideali che l’hanno resa ciò che è. Commenti sulla Chiesa, chiusura con tributo a Hanneman, determinazione e aggressività vanno a coronare un live durante il quale il gruppo ha dato tutto quello che poteva per porsi a degli altissimi livelli qualitativi. Le note più thrash metal che condiscono i pezzi dei Necrodeath fanno respirare per un po’ di tempo un’aria diversa, che compone anche una buona base su cui incatenare i due headliner. Veloci, sadici e brutali, forgiano un metal affilato, che fende i timpani e per tutto il set ferisce i nostri sensi fino a sbriciolarli nella foga comune. Molti fan approdati apposta per i liguri perpetuano un sing-along per tutta la scaletta, inneggiando continuamente alla loro presenza, mentre iniziano a vedersi i primi seri tentativi di movimento sia di testa, sia di braccia.
Non è la prima volta che i Darkened Nocturn Slaughtercult condividono un palco italiano con Satanic Warmaster. Già nel maggio 2010, sempre a Brescia, avevano partecipato al Black Lake Metal Fest III e l’inizio era stato segnato da una frase che in questi ambienti ha senso riportare “non ci interessa fare nessun tipo di propaganda politica, siamo qui per adorare il nostro maestro: Satana”. Questa sera la predisposizione non è cambiata, anzi semmai s’è rinnovata sul versante rituale. La figlia del male Onielar si esibisce con un velo bianco che le copre il volto, un candido tessuto la cui immacolata presenza verrà presto distorta e offesa. La convinzione della band tedesca è rispecchiata dalla sua musica: senza nessun compromesso spinge i suoi inni alla morte fino al limite del fanatismo. L’eccezionale esecuzione dei brani fa sì che il Colony si affolli, anche perché molti dei presenti provengono dalla patria dei Darkened Nocturn Slaughtercult, e tutti si fanno trascinare dal culto di Satana. È fondamentale parlare dello spettacolare apparato scenografico, di cui è protagonista soprattutto la femme fatale: tolto il copricapo bianco, beve sangue da un calice che viene rimesso sul pubblico e su se stessa tramite sputi e rigurgiti, e la cerimonia viene ripetuta più volte come ad accompagnare l’ascesa delle chitarre verso il paradiso per bruciare tutto. A ogni cambio tempo si accosta il classico “urgh” e per tutto il live l’unica cosa a contare sarà il black metal e l’oggetto della sua venerazione. Anche oggi i Darkened Nocturn Slaughtercult si riconfermano come una delle migliori realtà dal vivo del giro.
L’atmosfera putrida e spiritata che il gruppo tedesco ha lasciato necessita di un momento per venire digerita. I banconi del bar sono pieni, le distro sempre più svuotate e il fermento per l’ultimo act del Black Winter Fest si percepisce. Appena si inizia ad avvertire la presenza del mannaro, arriva l’orda, e nel momento in cui le prime note di “Raging Winter” vibrano grazie ai plettri, la folla insorge e trasforma il locale in macello. Dopo le varie date in Italia di Satanic Warmaster molti si lamentavano per la non lucidità dei membri e dello stesso Werwolf, che oggi è di sicuro più in forma che nella data del 2010 e tutti lo notano, anche pensando ad altre occasioni. Parlare di totale sobrietà è pretendere un po’ troppo e del resto va bene che il frontman sia già fomentato dall’alcol, anche perché così riesce ad aizzare gli animi come pochi nel black metal sanno fare (tenta anche delle “presentazioni” con frasi che inneggiano alla morte e al satanismo, come nel caso di “Eaten By Rats”, macabra elucubrazione sul marcire dei nostri cadaveri). Portarsi un solo chitarrista è un limite non da poco per la one man band finlandese, si sente in particolare quando “contenitori di epicità” come “Satan’s Werewolf” sguainano tutto il loro furore ma si lasciano alle spalle quelle linee melodiche di sottofondo, in ogni caso la cannonata arriva, e non sarà questo il pezzo più svantaggiato. La scaletta tocca tutti e cinque i full length, compreso l’ultimo capolavoro Fimbulwinter, anzitutto con la cavalcata d’odio di “When Thunders Hail”, che con le sue orde di frecce travolge la location. Questa è un classico componimento à la Satanic Warmaster, fedele a un sound purissimo ed elitario e che in questo caso riecheggia in sottofondo note che rimandano ai Kristallnacht (la band). Sono particolari che dal vivo un po’ evaporano, ma senza essiccare il resto, anzi si concentra al massimo la valenza evocativa delle parti strumentali. Di estremo impatto, vista la scarna struttura, è “Rotting Raven’s Blood” che permette di essere seguita con pugni alzati, mentre i tempi lenti e ripetitivi sono macigni che vengono rilasciati dalla leggendaria “The Vampiric Tyrant”: uno dei riff migliori del progetto è purtroppo anche quello che in concerto rende meno, visto che la melodia della prima parte non si comprende perché impossibile da ricreare con una sola chitarra, però la detonazione postuma è una liberazione australe o, peggio, infernale. Il tutto, comunque, va meglio di quanto sperato: ottima, come s’accennava, la presenza scenica di Werwolf (gli altri sono statici e inespressivi), che si appoggia alle transenne, maledice in latino il suo pubblico, lo spiazza con una voce che ancora ricorda Strength & Honour. Dall’altra parte della quarta parete la situazione ribolle: c’è chi preferisce godersi il concerto nel pogo sudato e chi invece se ne sta sulle sue ad ascoltare il live più possente della serata; qualcuno un po’ confuso chiama un wall of death, ma scompare pochi istanti dopo. Questioni un po’ meno comode riguardano una parte di pubblico che inneggia a qualche tipo di nostalgia bellica, in particolare durante “The Chant Of The Barbarian Wolves”, brano pubblicato sullo split con gli Aryan Blood, gruppo NSBM tedesco. In ogni caso Werwolf non sembra gradire il saluto e se ne discosta subito, la frase di rammarico da lui recitata fa cadere nel solito, imbarazzato silenzio gli interessati. Poco dopo l’uomo esce di scena, si siede a terra, e il suo atteggiamento diventa sempre più alcolico. Il secondo pezzo tratto dall’ultima fatica è “Fimbulwinter’s Spell”: la magia che questo brano scaturisce dal vivo ha dell’incredibile, con quei suoi arpeggi iniziali fa urlare la massa la sua frase chiave into endless darkness enthrall under Fimbulwinter’s Spell. Spesso dal vivo Satanic Warmaster si concede una cover tributo alla nascita del genere più oscuro del mondo: nel 2010 fu “Black Metal” dei Venom, oggi è “The Return Of Dakness And Evil”, e chiudere coi Bathory è un omaggio perfetto al festival. Quando il palco rimane vuoto comincia una fievole richiesta di bis, poco dopo qualcuno sale in cerca del lupo, che presto tornerà alla conquista con una magnifica “Carelian Satanist Madness”. The Werewolf strikes!