BLACK TUSK, Tend No Wounds Ep

Black Tusk

Coi Black Tusk nello stereo basta essere immersi nell’aria rovente (come quella di questi giorni) e col frigo pieno di birra ghiacciata per trovarsi con la barba che cresce lunga e caprina come quella del bassista Jonathan Athon, le braccia tatuate e la stessa aria da “drugàt”, da junkies, che hanno i tre di Savannah, Georgia.

I Black Tusk sono Andrew Fidler a chitarra e voce, Jonathan Athon a basso e voce e James May a batteria e voce. Il trio torna con un nuovo lavoro, l’ep Tend No Wounds, edito da Relapse da pochi giorni, e un tour che a metà settembre toccherà anche l’Europa, Italia inclusa (cioè Milano*). L’ep arriva quasi due anni dopo l’esplosivo Set The Dial, sempre su Relapse, e dopo lo split con Dead Yet? e quello live promozionale della label.

Mi era piaciuta una definizione della loro musica letta in una vecchia recensione: “motörsludge”, che si aggiunge a quella ben nota di “Swamp metal”. Si parla di uno stile molto dinamico, fatto di cariche di chitarra tonanti e spesso frenetiche, suoni marci ma grondanti groove da profondo Sud, canto hardcore grezzo e urlato (a una, due o tre voci), basso pulsante e batteria sempre tirata. Il nuovo ep è in vendita sul sito della Relapse in formato sia cd sia vinile nero e bianco con decorazione splatter rosso sangue. Come le altre uscite dei Black Tusk la copertina è decorata preziosamente da John Baizley dei Baroness, cosa forse neanche tanto strana visto che i Black Tusk condividono con lui e la sua band non solo buona parte dei gusti musicali, ma anche lo spazio vitale di Savannah, città pure dei Kylesa. La differenza con questi colleghi famosi sta nel fatto che i Black Tusk non hanno mai introdotto elementi che arricchissero il loro sound (prog, per dire), ma sin dal loro esordio, specie dal loro album del 2008 Passage Through Purgatory, rimangono “fedeli alla linea”: andati a male, scorticanti, veloci, southern e contagiosi, “motörsludge” appunto. Nel nuovo ep questa tendenza conservatrice è forse ancora meglio coniugata, visto che i tre cambiano sì stile rispetto ai dischi precedenti, ma solo per celebrare le radici hardcore punk del loro personale modo di fare sludge metal.

Nei circa 23 minuti dell’ep i Black Tusk fanno una cosa strana: aprono con una breve traccia strumentale, “A Cold Embrace”, una specie di preludio che, invece di essere atmosferico e “cold” come nel titolo, col suo ritmo tiratissimo suona come una carica della cavalleria e prepara il primo attacco in forze, la legnata di “Enemy Of Reason”. Lì la band scatena appieno la sua anima punk e rock’n’roll con un ritmo incessante, ma senza abbandonare la vena sludge, che si sente specialmente nelle schitarrate pastose. La festa continua con la mia traccia preferita, che è anche la più lunga di tutto l’ep (cinque minuti e mezzo): la sorprendente ““The Weak And The Wise”. Scrivo sorprendente perché questo brano fenomenale inizia come una “ballata” folk, con la malinconia seducente di violino e violoncello appena accompagnati dal basso. L’inganno dura quasi un minuto e poi, come da un calderone, trabocca la potenza magmatica di uno spettacolare swing infernale costruito da basso e chitarra, e su cui si innestano le voci ruggenti quasi da Hellhammer. Il ritmo è velocissimo, punk abrasivo e rock’n’roll sono fusi con southern metal incandescente. Bisogna ascoltarla… non per niente il video preparato dalla Relapse per la promozione dell’ep usa proprio una parte di questo brano.
La traccia che segue, “Internal/External”, rallenta un po’ i tempi ma non molla la presa: i Black Tusk continuano a bastonarci con un pezzo sinistro, cadenzato e grezzo, fatto di punk e black metal (come struttura), colati dentro uno sludge metal viscoso e ribollente, nel quale le voci sono di nuovo grezze e particolarmente ruggenti come in precedenza.
Le ultime due tracce, “Truth Untold” e “In Days Of Woe”, stemperano gradualmente l’esplosione punk dei Black Tusk, ma senza che ci si perda il divertimento. “Truth Untold” è veloce e tagliente, un concentrato di aggressione punk e groove in gran quantità tra southern sludge e, direi, quasi stoner metal tipo Red Fang, se non fosse per i cori sguaiati. Il brano che chiude, “In Days Of Woe”, è più classicamente southern sludge, più lento, un po’ à la Down o ò la Crowbar. Forse è quello che mi ha entusiasmato meno.

La deriva punk dei Black Tusk mi è piaciuta molto, quindi, mentre scrivo, ho ancora la barba lunga, le braccia pesantemente tatuate e faccio veramente schifo. E spero di trovare ancora po’ di queste badilate di punk e high-energy rock’n’roll nell’album che, immagino, verrà a breve dopo questo ep, che ha tutta l’aria di essere un’uscita “di transizione”.

(*) Ebbene sì, i Black Tusk tornano in Italia, anche se purtroppo solo a Milano! La scorsa volta eravamo davvero in quattro gatti a farci “pettinare” da quella legnata di concerto che hanno fatto quei tre delinquenti. Alla faccia del supporto alla scena underground. Ultimamente, però, le cose sembrano essere migliorate. Quindi spero che stavolta ci sia un sacco di gente ad accogliere come si deve questi swamp metallers, che dal vivo sono ancora più duri e sembrano ancor meno raccomandabili di come appaiono nelle foto promozionali! Il che è tutto dire…

Tracklist

01. A Cold Embrace
02. Enemy Of Reason
03. The Weak And The Wise
04. Internal/Eternal
05. Truth Untold
06. In Days Of Woe