BLACK PUS, 5/10/2013
Verona, Interzona.
Quel coloratissimo siero creato a Providence (Rhode Island) da Brian Chippendale e Matt Brinkman lascia gocciolare in Italia un po’ del suo veleno grazie alle due date (Milano e Verona) di Black Pus, progetto solista di Chippendale, che tenta di asportare il sound – non più così tanto disturbato – dei suoi Lightning Bolt e condurlo verso un mondo definitivamente più rumoroso. In realtà questo side-project è nato solo dieci anni dopo l’effettiva creazione della leggendaria Fort Thunder, squat e sede espressiva di un gruppo di studenti della Rhode Island School Of Design. È qui che per 6 anni si è incontrato quel noise schizofrenico reso celebre da gruppi come Mindflayer (Chippendale e Brinkman, appunto), Forcefield (mezzo performativo di Brinkman), Lightning Bolt (caotico duo formato da Chippendale e Brian Gibson), Prurient, Kites, Pleasurehouse, Mudboy… e di nomi se ne potrebbero fare per pagine. Ed è da qui che iniziano a fiorire le più allucinogene visioni di Black Pus, one man band di enorme valenza artistica anche al di fuori della musica, con packaging di dischi fatti a mano e grafiche al di fuori di ogni logica, che poco spazio lasciano all’oscuro retaggio industrial. Quest’anno è uscito l’amatissimo e odiatissimo All My Relations sotto Thrill Jockey, una specie di punto di arrivo dopo anni di sperimentazione free all’insegna della più disgustosa delle ricette anti-sonore, che Chippendale decide di portarla in Europa per farcene ingoiare una pinta.
La sede della bevuta è l’Interzona, spazioso locale nella periferia di Verona, che un paio di volte l’anno ci regala qualche chicca imperdibile: da qui sono passati Swans, Sunn O))), Neurosis, John Wiese, V∞redoms e molti altri, anche se più si va avanti col tempo più la programmazione sembra rarefatta (ma quest’anno qualcosa potrebbe cambiare).
L’affluenza non è esagerata, come si prevedeva, e il locale non si riempirà fino alla mezzanotte (quando come per magia si tramuterà in una discoteca), ma di gente al concerto ce n’è. Entrata al modico prezzo di 5 euro (più tessera). Appena dentro, sulla destra in zona mixer, sono esposti i dischi di Black Pus e una svendita dei cd Load Records dei Lightining Bolt. La distro contiene inoltre una bellissima maglietta con una caratteristica grafica di Chippendale e poster serigrafati: facciamo spesa.
Quando sale sul palco, Chippendale stesso con ironia si chiede se non fosse stato il caso di suonare ad un’altezza ancora superiore: noi gli arriviamo alle ginocchia, forse sarebbe stato meglio mettere tutto a terra, come ha sempre fatto. A parte questo l’impostazione è perfetta: ampli enormi pronti a massacrarci (non a caso un avvertimento ci viene subito dato all’entrata, dove riceviamo dei tappi per le orecchie), la batteria in primo piano circondata da microfoni e da una collezione di Delay, Wha, Overdrive e altri strumenti per la distorsione del suono, che andranno a modificare in modo diretto la batteria e il microfono. Comincia l’esecuzione, che rimane simile per tutto il concerto: si parte da un loop creato con la voce, su cui poi si ricama con altre voci e soprattutto con la batteria. Dopo un breve intro “comico-vocale” veniamo investiti da un colorato vento sonoro dalle mille facce, l’onda d’urto di Black Pus ci colpisce diretta e impazziamo. Chippendale si muove da maestro sulla batteria, con una tecnica affinata negli anni per non farla mai puzzare di virtuosismo, bensì lasciandola sporca e strappata, come la maschera che indossa. Le braccia diventano invisibili, l’uomo si rivela all’altezza di uno dei suoi moniker: Hundred Arms. Mentre sfreccia sulla batteria, in contemporanea modula l’uscita dalle pedaline, trasmettendoci tutta la potenza di pezzi da noi finora solo sentiti su disco. La scaletta è varia, ma si concentra in particolare sull’ultimo lavoro, facendoci venire il torcicollo. Il set continua inframezzato solo da qualche simpatico scambio col pubblico, e per registrare con la voce – imitando a gesti una chitarra – i loop che poi andrà a distruggere. Per quasi un’ora veniamo affogati nell’LSD vomitato dagli ampli e ne usciamo fisicamente stremati, ma molto soddisfatti.
Grazie a Michele Cucca per le foto.