black midi, SCHLAGENHEIM
Houston, abbiamo una sorpresina. Si parla degli inglesi black midi come di una delle band più originali dell’anno, anzi degli ultimi anni. Logico, dunque, che l’uscita dell’album di debutto Schlagenheim abbia destato parecchia curiosità. Il marchio ce lo mette Rough Trade peraltro, con l’aiuto di Dan Carey in fase di registrazione. Considerate poi che i ragazzi, conosciutisi alla BRIT School di Croydon, hanno un’età tra i 19 e i 20 anni: non capita spesso di imbattersi in talenti con simili margini di crescita. Ragazzi che poi, nonostante di sostanza ve ne sia a pacchi, sanno alimentare benissimo l’hype: i titoli dei brani sono stati rivelati soltanto il giorno della pubblicazione del disco, mentre le foto promozionali sono elaborazioni grafiche del quartetto con tanto di tute da corsa (spaziali?) e con astri e gattini a corredo, a strizzare l’occhio al mondo degli anime e della fantascienza (guardate anche la copertina con l’artwork, vagamente in stile H.R. Giger, a firma David Rudnik), oltre che a quello della Rete. Senza contare una ragione sociale che fa riferimento nerdistico al protocollo alla base degli strumenti virtuali.
I dettagli si allineano per un lancio di rilievo, verso nuove costellazioni futuristiche. Gli sperimentali astronauti rispondono ai nomi di Georgie Greep (voce e chitarra), Matt Kwasniewski-Kelvin (voce e chitarra), Cameron Picton (voce e basso) e Morgan Simpson (batteria), fattisi le ossa in sala prove e dal vivo in quello stesso The Windmill – ubicato a South London – che di recente ha visto passare altre ottime formazioni esordienti come Shame e Goat Girl. Ci si muove tra noise, math-rock, post-punk e post-hardcore, alt-jazz, neo-psichedelia e drone music, ma non solo… Pensate a una centrifuga impazzita di Sonic Youth, Shellac, Deerhoof, Battles, Death Grips, Suuns, Housewives. Pensate, insomma, a una compagine abbastanza inclassificabile, venuta su ascoltando tanto il blues e la new wave – a partire dai Talking Heads che hanno dato titolo a un singolo uscito in precedenza – quanto l’hip hop attuale, collaborando precocemente con Damo Suzuki, ritrovandosi remixata da Blanck Mass ed esibendosi a tutto fuoco per KEXP. Con la foga e la fotta, straordinariamente cosciente, della gioventù.
In realtà, a dispetto della padronanza dei mezzi tecnici, della netta visione d’insieme e dell’intelligenza di testi sospesi tra vulnerabilità umana e distopia, otto delle nove canzoni in scaletta, quando concise quando elaborate, sono state scritte in appena cinque giorni via jam-session (sempre all’arte della stravolgente improvvisazione sono consacrate molte delle performance on stage). Qui ci sono una certa urgenza avant-punk e l’amore evidente per strutture irregolari, ci sono tracce imbastite come Frankenstein di carne e metallo, di spigoli ed elettronica. Assorbendo e riassemblando. Le grattuggiate di “953” anticipano un riff alla Nirvana di Bleach, a tradire la passione per i Black Sabbath approcciati attraverso Guitar Hero (segno dei tempi…). Dopodiché “Speedway” potrebbe aggiornare la lezione geometrica dei The Wire all’era iper-digitale, “Near DT, MI” e “Of Schlagenheim” sfociano in urla cartavetrate, “Western” parte a giocare country per andare altrove nel corso di otto destabilizzanti minuti, l’ossessiva “BmBmBm” suona beffardamente The Fall in versione maniaca-xenomorfa, “Ducter” porta il funk alla sincope nervosa con melodia filo-Einstürzende Neubauten. A volte brillanti e groovy, a volte cacofonici e respingenti, di sicuro ambiziosi, i black midi promettono già che un domani saranno completamente irriconoscibili rispetto ad oggi. Per questo, comunque vada e ovunque vadano, vale la pena seguirli.
Tracklist
01. 953
02. Speedway
03. Reggae
04. Near DT,MI
05. Western
06. Of Schlagenheim
07. bmbmbm
08. Years Ago
09. Ducter