BLACK MAGIC SIX, Choose Death
La formazione a due componenti, ormai, è palesemente un trend. Evitiamo di perdere tempo alla ricerca di motivazioni che risulterebbero inconsistenti.
Contemporaneamente alla diffusione di questa usanza, ma non per sua causa, il garage rock è stato risucchiato nel vortice del mainstream senza alcun ritegno, come un’astronave alla deriva nella spazio profondo che precipita in un buco nero, sempre più giù, eternamente. Così, una delle forme più pure e primordiali della musica AE (After Elvis) è stata aggiunta alla merce esposta sugli scaffali dei mall, e tutti noi, poveri cazzoni senza un briciolo di cervello, abbiamo lasciato che il processo si completasse, distratti dai video dei beniamini alternativi – che ovviamente registravamo su VHS – mandati in onda da MTV a partire dal 1990 fino all’avvento di YouTube. Oggi, a processo ultimato, i video in rotazione sono di roba reggaeton, dance, ultra-pop teenageriale… e il VHS è caduto in disgrazia da un pezzo.
Non ci resta che prenderla nel nostro personalissimo duo di chiappe, consolandoci se, tra una schifezza, una farsa e un plagio maldestro, dovesse saltuariamente scapparci qualcosa di buono. In questo senso gli ultimi mesi sono stati abbastanza esaltanti, grazie ad uscite eccezionali come quelle di Barsexuals e Poison Rites. Choose Death dei Black Magic Six, fortunatamente per le nostre chiappe, segue più o meno la scia. Arrangiato, suonato e registrato molto meglio rispetto ai dischi delle due band appena nominate, in esso sono racchiuse le influenze più selvagge della Musica di Satana, e i testi, deviando leggermente dai soliti racconti di memorabili scopate, fallimenti scottanti e grandi bevute, tendono a infrattarsi tra le oscurità della vita per fare da eco all’accettazione della morte, qualsiasi sia il modo in cui sopraggiunga.
Le caratteristiche di Choose Death fin qui descritte, tema dei testi a parte, basterebbero per bollare come hipster i due Black Magic Six, del resto è quasi impossibile trovare sudore incrostato e pregno di sincero malessere in una serie di note messe in fila secondo uno metodo studiato e registrate con il massimo dell’accuratezza possibile. Sporcizia e pulizia sono in antitesi per definizione. C’è bisogno che ve lo spieghi? Lavatevi la faccia nel cesso e fatemi sapere come ci si sente.
Forse, però, è proprio questo che i Black Magic Six tentano di fare: il gioco dei fighetti secondo le regole dei balordi, buttano sapone nel cesso per poi lavarcisi dentro la faccia, sintetizzano un ibrido bizzarro di sudiciume maleodorante e igiene intima.
Seppur lontani dal fondo di un barile dove solo i veri reietti se la sguazzano alla grande, mantengono una certa distanza dalla superficie in cui galleggiano, come paperelle di gomma nella vasca, i paladini del bagnoschiuma, tipo il profumatissimo Jack White e i carinissimi Black Keys, dei quali i due nostri amici sentono un po’ l’influenza.
L’album, quarto in carriera, apre con sonorità piuttosto spinte e moderne, perciò ci si ritrova depistati dall’atmosfera voodoo-surf della seconda, bellissima, “Shake Shake Shake”, sufficientemente pulita e accattivante da poter rappresentare un primo singolo estratto. Altro papabile singolo potrebbe essere “Grease The Machine”, se non fosse per quello slogan cacofonico e lanciato in chissà quale lingua scandinava verso la fine del pezzo. Ma il meglio del disco lo troviamo nelle ultime quattro tracce e raggiunge l’apice con “Better Run Fast”, tribale, incalzante al limite della turbolenza e paracula.
Choose Death mi è piaciuto, ma mentirei se vi dicessi che ho smesso di guardare con qualche sospetto i due – sempre in bella posa – Black Magic Six.