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BLACK HAMADA, Black Hamada

Nomi di spicco della storica scena hc e posthc romana (come Dhmnz, Opposite Force e Redemption) sono all’origine dei Black Hamada, verrebbe da aggiungere in modo alquanto inaspettato visto che questo gruppo veleggia senza remore verso i lidi di un post-rock energico e venato di metal, figlio di quella stagione d’oro che vide il proprio culmine qualche anno fa e che dopo una sbornia iniziale sembra tornata appannaggio di chi davvero sente e ha fatto proprio questo linguaggio. La band in oggetto, per nostra fortuna, fa parte di questa schiera, suona con passione e varietà di input la propria musica e non ha paura di inserirci quanto fa parte del suo bagaglio, sia esso lo slowcore o certo noise, utilizzati per dare intensità emotiva e levare di torno il sospetto di manierismo, ma sempre con misura e senza mai troppo metterli in vista, quasi temesse di alterare il fluire magnetico del tutto.

Come in un vortice, la proposta dei Black Hamada cattura l’ascoltatore e lo trascina in un viaggio al di fuori del tempo, un’astrazione dalla realtà quotidiana in grado di regalare una pausa ristoratrice dal chiaro taglio onirico. La vera sorpresa e marcia in più rispetto all’agguerrita concorrenza arriva, però, con la finale “Dust”, il brano che più di tutti rompe le righe e spezza i ranghi della lealtà al genere, tanto da osare un incipit con riffing secco e dal chiaro sapore doom da cui prende il via una vera e propria dichiarazione di intenti: la nostra speranza è che questo sia il segnale di un’evoluzione che ribadisca quanto di buono già presente ma lo traghetti verso un futuro sempre più libero da ingombranti richiami e piegato alla propria personalità. Per ora, il viaggio vale il tempo speso e si lascia apprezzare in tutte le sue sfaccettature. Come si suol dire, so far so good.