BJ JAZZ GAG, Somestring Else!
Nonostante abbia già qualche mese alle spalle, merita assolutamente di uscire dal cono d’ombra questo album in trio del chitarrista Biagio Marino assieme a Luca Bernard al contrabbasso (già nei travolgenti Tell No Lies, che con il loro Anasyrma hanno fatto uno degli strike del 2020) e Massimiliano Furia alla batteria, protagonista di un poetico omaggio ad Andrea Zanzotto con Mirco Ballabene e Stefano Battaglia. Le accordature inconsuete della chitarra e anche una felice, fertile, studiata e naturale indecisione tra l’urgenza di un rock sui generis (“Emblemata”, la traccia d’apertura) e la grammatica jazz danno a tutto il lavoro un sapore particolare, rendendolo difficilmente descrivibile, e alla fine delle cinque tracce c’è la voglia di tornare a schiacciare play. A chi scrive è venuto in mente il Jeff Buckley di Grace per una certa grazia alata e dolente (“Fino All’Ultimo Respiro”) e per lo sghembo nitore delle composizioni (John Mc Laughlin in combutta con i Polvo anziché con gli indiani?), ma il paragone rischia di essere del tutto fuorviante. D’altro canto è proprio la musica stessa di Somestring Else! ad esserlo, psichedelica e luminosa come Riley Walker, articolata e fluida, libera, mutevole, secondo il dettato della migliore improvvisazione, anche se la parte di composizione sembra prevalente in tutto il lavoro. Fatico, ammesso che abbia una qualche importanza, a trovare qualche nome di riferimento in ambito strettamente jazzistico, se non forse Nels Cline (“Alghero” o i buchi neri di “Native American Painting”, che fanno risalire memorie di galassie psicotrope).
Queste cinque tracce sono per davvero qualcosa di diverso, abitano una terra poco frequentata dove ruggine e luce convivono assecondando una scrittura peculiare, lirica e sfuggente, che non teme di abbandonare la strada maestra per planare altrove: la gloria estatica che fa fiorire un haiku drone-jazz, seguito addirittura da fughe à la Grateful Dead, di “Abbia Masella”, che ci ha ricordato un altro disco italiano, del 2019, che pochi hanno intercettato, ma è un altro piccolo gioiello. A un certo punto le definizioni non servono più a niente e non resta che stupirsi di un suono da qualche parte tra terra e cielo, che parla con strumenti consueti una lingua desueta, capace di sorprendere assieme al monumentale triplo di Gabrio Baldacci su Auand, un altro esempio (molto) riuscito di come in Italia nel 2020 si possa usare la chitarra senza cadere nel vuoto virtuosismo ginnico o nella retorica. Pubblica la Fonterossa di Silvia Bolognesi. Avanti così.