BIG|BRAVE + MJ GUIDER, 24/9/2024

Robin Wattie (Big|Brave), foto di Tina Stariha

Lubiana, Kino Šiška.

Sono giorni impossibili, ma per i Big|Brave mi faccio il viaggio Trieste-Lubiana anche se è martedì e sto a pezzi: ho una capitale europea e uno dei gruppi che più ho apprezzato negli ultimi due-tre anni (qui l’intervista) a poco più di un’ora da casa, non è il caso di sputare sopra questa fortuna. Ricordo com’era in pandemia. Ora voglio tutto più di prima.

Sono passati otto anni dall’ultima volta – e prima, direi – che i Big|Brave hanno suonato all’imprescindibile Kino Šiška, venue fortemente voluta dalla politica e non solo dal pubblico sloveno (qualcuno da noi dovrebbe imparare qualcosa). Nel 2016 stavano nella sala grande al piano superiore e aprivano per i Sunn O))), oggi si trovano nella sala inferiore, più piccola e intima, ma come gruppo principale, preceduto da MJ Guider, che noi nerd senza vita sociale sappiamo essere su Kranky, etichetta adattissima al suo shoegaze trasfigurato, francamente con poco effetto su di me stasera così come del resto i suoi dischi, e mi spiace molto scriverlo, dato che sono grande fan della Kranky. Però lei è un po’ davvero troppo da cameretta e poi stasera non sembra crederci nemmeno un po’.

I tre Big|Brave (due chitarre e batteria) salgono sul palco insieme al bassista australiano Liam Andrews, che non sarà il primo della lista, ma neanche l’ultimo degli stronzi, in quanto parte di un gruppo eccezionale di cui purtroppo non ho mai parlato: My Disco. Credo sia bellissimo che lavorino insieme, ora che li vedo mi sembra ovvio che si conoscano e si sentano simili. La sala non è piena ma per fortuna la situazione non è scoraggiante. La band, in costante dialogo con amplificatori ed effetti, timida e mai rivolta verso il pubblico, mostra il suo lato più riflessivo, proponendo una setlist che pesca anzitutto dall’ultimo A Chaos Of Flowers, secondo me puntando più sul restituirne il senso che sul riproporlo esattamente, del resto il loro approccio mi pare tutto tranne che rigoroso. Risultato? Volume e distorsioni al servizio di una malinconia infinita, delle poesie della chitarrista/cantante Robin Wattie, ma anche di quelle di alcuni dei numi tutelari della band. A questo proposito, molto suggestivo il momento in cui tocca ad “I Felt A Funeral”, i cui versi appartengono a Emily Dickinson. Per quanto mi riguarda, però, l’apice del concerto arriva quando recuperano “brevemente” materiale da nature morte e si trasformano nei Big|Brave di cui mi sono innamorato, quelli swansiani, emotivi, vulnerabili e allo stesso tempo devastanti. Siccome non sono proprio completamente stupido, capisco che dopo anni di potenza avessero voglia, come hanno fatto nel 2024, di declinare in maniera differente le loro intuizioni iniziali, dunque non protesto e vado via contento, anche se qualche minuto in più di esplosioni l’avrei gradito.