THE BIDONS, Back To The Roost
Il gioco è sempre quello, si parte da Detroit e ci si tuffa nel garage revival più caustico, si flirta con il rock’n’roll più bastardo e con l’etica del loser, si grattugia la chitarra e si pesta sulla batteria, si va giù duro di fuzz e di basso bello grasso, magari ci si perde dietro a qualche rivolo di psichedelia grezza, quasi involontaria, per poi tornare in riga nel beat. Tutto come da copione, dai Sonics ai Miracle Workers e viceversa, lungo la via di un continuo ritorno e di una mai definitiva scomparsa, in quello che appare come il miglior esempio di corsi e ricorsi storici che la storia della musica abbia mai offerto in pasto agli ascoltatori. Ciò che colpisce è come i Bidons riescano a rendere il tutto vivo e pulsante, affilato come fosse il qui e l’ora dell’avanguardia musicale e non l’ennesimo giro di giostra lungo le rotaie della nostalgia. Persino gli “yeah, yeah, yeah” di “I Can’t Stand It” sembrano una cosa fresca e al posto giusto, mica un campione da qualche disco dei nostri genitori, il che non è proprio cosa da poco, così come non è quisquilia riuscire a portare a termine un album di dieci brani e all’ascoltatore la sensazione che sia durato poco, che un paio di pezzi in più non sarebbero dispiaciuti. Proprio questa capacità di bilanciare i vari elementi, di colpire e fuggire prima che le cose si facciano troppo pesanti e il trucco cominci a scolare, rendono Back To The Roost un lavoro a fuoco e riuscito, un perfetto bluff che strappa un applauso e porta a casa il risultato. Se questo è ciò di cui vi nutrite, non dovreste lasciarvelo scappare.