BEN FROST, Threshold Of Faith
Ben Frost è uno dei protagonisti di questi anni. Per qualcuno è un genio, diversamente non sarebbe ovunque, in primis sul catalogo della Mute, per altri è sopravvalutato. Io non so che dire: Aurora, del 2014, è un album bello solo in parte, ma coraggioso, perché bisogna dare atto a quest’uomo di essere un irrequieto (penso ai suoi viaggi e ai suoi traslochi), mai soddisfatto, sempre a caccia di autenticità e legittimazione, come si vede anche dal quantitativo e dal tipo di collaborazioni che ha messo in piedi negli anni (rimando sempre alla recensione dell’ultimo full length). Ecco perché non dovrebbe sorprendere che lui, nonostante potremmo considerarlo un laptop musician, sia andato da Steve Albini, nell’immaginario indie collettivo (e non solo nell’immaginario) il produttore onesto, punk, che mostra le band struccate. Né dunque giunge inaspettato il succinto testo di presentazione di quest’ep, che descrive i due nell’atto di scardinare le macchine degli Electrical Audio e una serie di strumenti (chitarre, bassi, synth…) per ottenere un suono primitivo e viscerale, riuscendoci. Threshold Of Faith, infatti, lascia cadere il discorso “rave” di Aurora ed è destrutturato al massimo, elementare e in alcuni episodi violento, un possibile incontro tra Vainio solista (ma senza i suoi silenzi), l’ultimo Paul Jebanasam (per come squarcia le casse) e quell’emotività di A Fragile Geography di Irisarri (fatte salve le moltissime differenze tra i due). In altre tracce, invece, ferma restando la “nudità”, ci sono più rarefazione e trasognatezza, e riuscitissimi accenni di melodia: ad esempio, “All That You Love Will Be Eviscerated (Albini Swing Version)” è sì sempre molto semplice e spoglia, oltre che triste, ma al posto della bestialità del Frost di By The Throat c’è qualche nota di piano che si sfalda.
Caro Beniamino, a questo giro mi hai convinto.