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BEN BERTRAND, Manes

Ben Bertrand è un artista di Bruxelles. Quest’album è stato pubblicato in combutta da due etichette belghe molto rispettate, Stroom e Les Albums Claus.

Les Ateliers Claus, il locale che ha fondato la quasi omonima etichetta, ha due qualità principali: anzitutto, si trova a due passi da dove vivo. In secondo luogo, e forse più importante se te ne strafotti della mia lotta per raggiungere i luoghi il più facilmente possibile, la programmazione è eccellente. Gli artisti che appaiono qui – spesso collaborando – tendono a non essere quelli “del momento”, ma degli anticipatori. Questo è un buon inizio, soprattutto considerando che Les Albums Claus ha anche pubblicato il precedente album di Bertrand, Ngc 1999, nel 2018.

Per me ascoltare Manes è stato un “momento eureka”. Non avevo mai considerato quanto fosse adatto il clarinetto basso a comporre musica elettronica, nelle mani giuste. Il suono caloroso ed elegiaco di Bertrand è trasformato in ondate di drone elegantemente rielaborate. Queste sono costruite con costanza e grazia, senza mai affastellarsi le une sulle altre.

L’album inizia con “Morton And György In The Battista Mist”, che al primo ascolto è in ogni parte “new classical” come sembra.  Le stesure dello strumento ad ancia sono stratificate in modo uniforme e preciso, come lo saranno sul resto dell’album. Il pezzo è ripetitivo e non sembra andare da nessuna parte, ma in qualche modo il viaggio resta accattivante. Improvvisamente, oltre la metà, un arpeggio ripetuto ed emotivo si presenta e ne prende il controllo. Ci vuole tempo per arrivare qui e forse è anche meglio così.

Il pensieroso “Incantation 3” sembra la colonna sonora di un film, ma di che genere e di che anno? Il clarinetto basso è così incorporato in un universo sonoro cinematografico che è difficile non trovare questa musica eminentemente visiva. Ho la netta sensazione che Bertrand sia ben consapevole della qualità filmica del suo strumento e che la sfrutti magistralmente.

L’ultimo brano dell’album, “The Manmaipo”, introduce un elemento finora inutilizzato: la voce. Offerta da Claire Vailler, è un’aggiunta molto gradita e opportuna. Il pezzo è più consapevolmente discordante ed energico rispetto al resto del disco, e non è una brutta cosa.

Nonostante Manes si trovi certamente nella costellazione dell’ambient, non si può categorizzare solo come tale. È impossibile dimenticare che è dinamico: i cambiamenti e gli arpeggi sono troppo numerosi per consentire una simile classificazione. Non è insistente nel modo in cui ti richiede di rallentare per assecondarlo e, soprattutto come ci mostra l’ultimo brano, non per questo non morde. È solo contento di essere se stesso.