BEMYDELAY, Bloom Into Night
Marcella Riccardi sta portando avanti un discorso artisticamente coerente ma senza far troppo rumore. Questo Bloom Into Night è un album languido, meditato, meno irruento e “krankyano” del primo ToTheOtherSideΔ, sempre per la Boring Machines, ma è anche il frutto della logica conseguenza di un passaggio forse obbligato per chi ha da sempre fatto della lentezza, e dell’amore per il folk, una ragione di vita: già in Hazy Lights, del resto, si avvertiva un orientamento più cantautorale, meno lisergico del solito. Qui il modello è ancora più affine alla poetica di Cat Power, per esempio; beninteso, quella della prima fase di carriera, una grande songwriter che non si era ancora del tutto persa tra costose produzioni e improvvisi abbandoni di palco. Dicevo di Marcella: qui gli arpeggi sono potenti e solenni come in “Holes In The Brain”, il cantato enfatico ma mai stucchevole, come “May You Feel My Love”, mentre “Love Hurts” è il giro di boa dell’album, con una melodia spaccacuore che si intreccia tra le chitarre e le spazzole, per una sorta di ascensione folk che era da tempo non ascoltavo (e apprezzavo) con tanto trasporto; sicuramente i contributi di Vittoria Burattini dei Massimo Volume alla batteria e di J.H. Guraj alle chitarre donano quel tocco di classe che forse mancava alle produzioni passate. Bloom Into Night non è perfetto, chiari sono i modelli ai quali si ispira, ma resta una pubblicazione intrinsecamente speciale, frutto del lento scorrere del tempo e a suo modo pure unica nel suo genere. Bentornata.