Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

Batteristi espansi: René Aquarius e Mike Weis

Nunatak di Thomas Köner è considerato un caposaldo del dark ambient (come nel caso di Lustmord, l’autore storce parecchio il naso quando sente questa definizione) ed è stato realizzato registrando dei gong in diverse stanze e perfino sott’acqua. Con quest’idea in mente ho cominciato ad accorgermi del lavoro di batteristi che, grazie anche a una maggiore confidenza con la tecnologia, muovendosi da soli creano album – se non ambient – atmosferici. Non che l’elettronica favorisca solo sviluppi in questa direzione, perché ad esempio potremmo aprire un discorso a parte sui trigger e sul loro uso nel metal estremo, ma mi sembra abbastanza chiaro che negli ultimi tempi più di qualche musicista abbia ripreso in considerazione le potenzialità “evocative” delle percussioni. In questi anni mi sono imbattuto in Steven Hess (Locrian), Frank Rosaly (che ho visto dal vivo con Joshua Abrams), Francesco Gregoretti, Eli Keszler, Martin Brandlmayr e ho potuto ascoltare materiale eccellente come quello di Natura Morta di Andrea Belfi. Accoppiare queste due uscite è un modo per fare massa critica e magari far scoprire a qualcuno un nuovo filone.

RENÉ AQUARIUS, Blight

aquarius1

All compositions created solely from drums, cymbals and equalization, scrive Utech Records su quest’esordio solista di René Aquarius dei Dead Neanderthals, alfieri della New Wave of Dutch Heavy Jazz che conosciamo anche piuttosto bene. Blight dimostra come quest’uomo non sia solo un guerrafondaio, come la sua band lascerebbe credere, ma anche un eccellente tessitore di atmosfere: drone profondi e neri, piatti spettrali, grancassa che batte lenta ma fortissimo, come il cuore di un mostro dormiente. Tutto sembra registrato in qualche gigantesca costruzione vuota, un posto perfetto per creare gli echi di quest’album, ma anche dove perdersi e morire ammazzati. Nessuna facile scorciatoia, nessun colpo ad effetto, solo l’essenziale per creare un buio sconfortante. Lo vorrei veder collaborare col Becuzzi di Haunted. Artwork-meraviglia di Utech Records.

MIKE WEIS, Sound Practice

Mike Weis è il batterista degli Zelienople, un gruppo che non ha mai avuto lo spazio che si merita. Diversamente dai suoi due dischi precedenti, qui Weis suona molto più dal vivo la propria strumentazione, composta da grancassa, campane tibetane, gong cinese, percussioni tradizionali coreane, piatti, una specie di chitarra preparata e tape loop. Ci rende così partecipi del suo personalissimo rito dalle sfumature orientali, imperniato su di una performance piuttosto istintiva: la prima delle due tracce del disco all’inizio è solenne e sacrale, ogni suono può respirare ed espandersi nel silenzio, ma c’è un progressivo crescendo, quasi tribale per come sono usate le pelli, mentre lo spazio si riempie anche di basse frequenze, caricandosi di energia negativa; il secondo episodio, leggermente più breve, è forse ancora più dark e qui a essere davvero sinistro è il modo in cui Weis passa sui metalli.

Ho pensato anche a Z’EV ascoltando ciascuno di questi due dischi. Non lo ritengo razionalmente il migliore dei paragoni possibili, ma la memoria ripesca pure lui. Roba molto buona, comunque.