Barbarian, slow food metal contro il logorio della vita moderna
Un culto che dal 2009 ha sparso i semi della devozione al metal anni Ottanta di cui i Barbarian sono ministri e paladini, senza che questo amore totalizzante abbia inficiato la capacità della band di parlare al pubblico odierno e ottenere consensi ben oltre i confini patrii con tour in Europa e negli States e un contratto, ormai di lunga data, con la Hells Headbangers. Insomma, il loro metal totale, assoluto, ottuso e regressivo non sembra intenzionato a fermare la sua marcia. Ci siamo fatti raccontare il nuovo Viperface e questi primi tredici anni dal fondatore e nostra vecchia conoscenza Borys.
Se escludiamo lo split con i Bunker66, questo è il vostro quinto album da quando vi siete formati nel 2009, tredici anni sulla breccia non sono pochi e ci permettono di tirare qualche somma su quanto successo. Come giudichi il vostro percorso e le vostre scelte col senno di poi? Rifaresti tutto uguale o cambieresti qualcosa?
Già tredici anni? Allora, undici anni e mezzo da quando ci hai visti per la prima volta a Fano. Sono talmente contento di come vanno le cose ora che, evidentemente, non c’è molto che potrei cambiare. Sì, potrei essere più bravo a suonare la chitarra, ma ormai resto zappatore. Il disco nuovo mi piace tantissimo sotto tutti gli aspetti (pezzi, registrazione, copertina…), con i ragazzi stiamo bene insieme e ci divertiamo. Mi sarebbe piaciuto suonare di più dal vivo, ma ci sono aspetti cogenti non emendabili (geografia, lavoro…) che non hanno facilitato le cose. Avremmo potuto modulare la musica e l’immagine per aderire più nettamente a determinate nicchie, questo ci avrebbe aiutato, ma va bene così. In realtà, siamo riusciti a suonare in contesti anche molto differenti fra di loro rendendo tutto anche più divertente. Ci siamo comunque già tolti la soddisfazione di un tour americano e di due tour europei, di essere l’unico gruppo italiano, insieme ai Children Of Technology, su Hells Headbangers, e di essere diventati autonomi dal punto di vista finanziario. Questa è, forse, la cosa più incredibile. Non intendo ovviamente che campiamo dei Barbarian, ma che i Barbarian campano senza di noi.
Come membro dei Barbarian, ma anche titolare della Ripping Storm Records e da sempre coinvolto in band, label, ‘zine e booking, cosa credi sia cambiato all’interno della scena metal e quali credi siano le differenze principali rispetto a prima?
Apparteniamo ambedue alla generazione delle cassette, se internet prima e mp3 dopo ci hanno stravolto il mondo, streaming e social ci hanno proiettato in una dimensione aliena che nemmeno Lovecraft avrebbe saputo immaginare. Se una volta una cassetta registrata era un tesoro inestimabile che consumavamo a furia di ascolti, oggi tutto è veloce e gratis e difficilmente ci si sofferma su alcunché. L’offerta è del resto tremendamente grande, registrare e stampare costa poco, se una volta l’orizzonte di un gruppo era una cassetta mal registrata e mal disegnata, ora è almeno un cd con suoni e grafiche da paura, ma può bastare anche pubblicare su Bandcamp. In termini di DIY tutto questo è molto positivo, non si può negare. Allo stesso tempo, lo dico da un bel po’, quando ottenere qualcosa non costa sforzo, essa automaticamente acquisisce una valenza molto più bassa. Oggi la musica è un buffet gratuito di finger food, assaggiamo, ingoiamo in un baleno e ci spostiamo verso altro senza soffermarci e senza gustare. Io sono nostalgico, continuo a preferire l’abbuffata di pastasciutta al pomodoro.
Tra Cult Of The Empty Grave e To No God Shall I Kneel c’è stato anche un importante stravolgimento nella line up: adesso sei l’unico membro originario e questo è il secondo album con i tuoi nuovi compagni di strada, ti va di presentarceli e raccontarci come vi siete incontrati?
La formazione degli ultimi due dischi comprende Blackstuff al basso e Sledgehammer alla batteria. Il primo è un amico di vecchia data, dagli anni ’90 per la precisione. Abbiamo suonato insieme in Disprezzo, Giuda e Robanera, quasi una costante nella mia vita musicale. Sledgehammer ha qualche anno in meno e ci siamo conosciuti quasi per caso quando cercavo un nuovo batterista. Suona anche nei Kinetik ed è un maniaco del suo strumento. C’è chi colleziona dischi, lui colleziona rullanti, per darti un’idea. La mescolanza ha sempre funzionato alla grande, sia musicalmente sia umanamente. Recentemente c’è stato però un cambio, Blackstuff ha dovuto mollare (ma tanto in futuro ci ritroveremo sicuramente in qualche altro gruppo), e al basso è subentrato Cardinal Sinner, amico storico di Sledgehammer e di discreta esperienza nella scena fiorentina. Quindi, i Barbarian mark 3 si apprestano a lavorare al prossimo disco.
Credi si possano individuare differenze a livello compositivo e stilistico tra le due formazioni o credi che la tua presenza abbia garantito una continuità sotto ogni profilo?
Fra un disco e l’altro c’è sempre stata un’evoluzione, i Barbarian sono una creatura viva, è normale che sia così. Il cambio di formazione ha però permesso di fare un salto, seppur coerente. I pezzi degli ultimi due dischi sono molto più ricchi e la formazione ha necessariamente avuto il suo peso in questo. In una recente recensione siamo stati definiti troppo semplicistici, a dimostrare, tra l’altro, come oggi i dischi che escono siano troppi e siano ascoltati con superficialità: invito a contare i riff e i cambi di tempo che ci sono in Viperface. Non saremo i Dark Angel di Time Does Not Heal, ma la mercanzia non manca di certo.
Viperface è il terzo album con la Hells Headbangers, come vanno le cose con loro e soprattutto quali credi siano le carte vincenti di questa partnership?
Per il tipo di musica che suoniamo, in un contesto flagellato da nicchie multiple disposte a matryoshka, Hells Headbangers è il massimo che possiamo ottenere. È un’etichetta prestigiosa che gode di grande credito, ha lanciato i Midnight e tutt’ora è dimora di Acid Witch, Deathhammer e Bat (e tenete d’occhio gli Spiter!). Ripeto, facciamo musica di nicchia, quindi al momento non c’è un’etichetta più grande che possa essere interessata a noi. E, al di là delle dimensioni, c’è sempre stata grande disponibilità e fiducia reciproca, non abbiamo firmato alcun contratto, infatti, perché non ce n’è mai stato bisogno. Credo che Chase apprezzi anche la nostra autonomia e la nostra dedizione, oltre che la nostra musica. Quanto all’aspetto promozionale, Hells Headbangers fa tutto quello che deve fare, anche se sicuramente non siamo bestie da social e piattaforme virtuali, baratteremmo volentieri mille like con una maglietta venduta dopo un concerto, e non certo per una mera questione pecuniaria.
Finalmente si può tornare a suonare dal vivo, quanto conta l’attività live per voi e come vi state muovendo per recuperare i due anni di stop? Che effetto vi ha fatto tornare a portare in giro la vostra musica?
Non ne potevamo più. Certo, a ripensarci è stato strano ricominciare, sono venute a galla tutte insieme sensazioni un po’ dimenticate, ma dopo due secondi di spaesamento ci siamo lasciati andare alla gioia. È troppo importante e bello suonare dal vivo, non solo come strumento promozionale di un disco, e To No God Shall I Kneel è capitato nel momento peggiore, ma proprio come rito esorcistico di liberazione. Le opportunità non sono tantissime per un gruppo come il nostro, ma abbiamo già alcune date programmate per la nuova stagione, un bel festival in Repubblica Ceca con i Nifelheim e i nostri compari Bunker 66, con cui suoneremo anche a Vienna, il Firenze Metal, Genova e altro. Non vedo veramente l’ora.
A proposito di live e quindi di locandine, per il nuovo album avete lanciato tutta una serie di flyer e locandine che ricalcano le vecchie pubblicità metal nelle riviste anni Ottanta ma anche locandine cinematografiche e poster di concerti, come è nata l’idea e chi se ne è occupato?
Mi fa piacere che tu l’abbia notato. Sono tutti lavoretti di cui mi sono occupato io, nulla che scuota le fondamenta dell’arte grafica, ci è sembrato un modo divertente e un po’ diverso per promuovere il nuovo disco. Non è facile farsi notare nel mare magnum dei social, ma anche della musica in generale, vista la valanga continua di uscite discografiche. Noi non siamo nemmeno pesci piccoli, siamo proprio plancton, così con questi flyer magari attiriamo l’attenzione di qualche persona in più. E qualcuno effettivamente riconosce anche i film di cui abbiamo rubato le locandine e adattato gli slogan.
E cosa mi dici della copertina del disco, chi se ne è occupato e come è nata? Se osservo le copertine da Faith Extinguisher a Viperface noto che i colori si sono fatti sempre più scuri e dall’iniziale uso di rossi e arancioni si è passato via via a toni sempre più cupi, un caso o una scelta in sintonia con un cambio nel mood degli album?
Dopo tre dischi abbiamo cambiato e siamo passati da Shagrat a Velio Josto, che è un professionista immenso e con una cultura impressionante nel suo ambito. Ne è nato un interscambio molto interessante dopo che gli abbiamo sottoposto le nostre idee. Il soggetto non è nulla di rivoluzionario, è pur sempre il nostro solito barbaro mascotte, ma la qualità della realizzazione è veramente altissima. Effettivamente non avevo notato l’evoluzione nei colori, ma sicuramente non è un caso, visto che facciamo sempre ascoltare il disco a chi realizza la copertina. A proposito di copertine, ti rendo partecipe di un aneddoto curioso. Recentemente sono stato a Cracovia dove, nel Centro Culturale di Nowa Huta, era esposto il quadro originale di Zdzislaw Beksinski che abbiamo utilizzato per il nostro primo disco. Ho saputo poco dopo da un amico di zona che i Vader, quando ancora Beksinski era in vita, hanno cercato di ottenere l’autorizzazione per utilizzare lo stesso dipinto, ma senza successo. Mentre a noi è andata bene, forse perché, dopo la morte di Beksinski, i responsabili dei diritti non avevano la stessa intransigenza. Tieni conto che, sebbene i dipinti del maestro polacco siano apparsi spesso su copertine metal (anche in versioni terribilmente manipolate, vedi il terzo album degli Evoken), raramente dietro c’era l’autorizzazione.
In realtà, poi, parlando di musica, direi che dall’iniziale amore totalizzante per gli Hellhammer la vostra scrittura si sia sempre più aperta ad altre declinazioni del metal anni Ottanta, acquisendo un tocco epico e melodie capaci di stemperarne in parte l’indole oscura. Quali definiresti oggi le principali ispirazioni e punti di riferimento dei Barbarian?
Quello è stato il punto di partenza. Poi sono venuti fuori tutti i nostri ascolti in ambito metal, cioè letteralmente migliaia di dischi e, magari inconsapevolmente, quando suoniamo questi non possono non far valere il loro peso. Tutto è poi filtrato e amalgamato nel nostro stile, che ritengo molto coerente e personale, sebbene, ripeto, siano necessari molteplici passaggi per recepire adeguatamente quello che facciamo. Ne nasce un ibrido in cui ognuno sente quello che vuole (ho letto recensioni che voi umani non potete nemmeno immaginare). Comunque, nella composizione di Viperface c’entrano, di qua e di là, a dosi centellinate, Celtic Frost, Running Wild, Manowar, Judas, Irons, Amebix, Metallica, Venom, Bathory (i soliti, insomma) e chissà quanti altri.
Se, invece, guardiamo all’oggi, quali sono le band con cui vi trovate più in sintonia e quelle in grado di scalzare momentaneamente i classici nei vostri ascolti quotidiani?
Ammetto che non sia facile trascinare via dal piatto i classici, ma, pure i reperti archeologici. Sicuramente faccio scendere in campo i già citati Midnight, Deathhammer, Bat e Acid Witch, aggiungo Enforcer, Angel Sword, Nekrofilth, Hellshock, Skepticism, Ancestor, Blazon Stone, Rocka Rollas, così, dopo un brainstorming al volo. Fra i gruppi semi-classici che non ho abbandonato cito Immolation, Marduk, Incantation, Testament, Exodus, Carcass. Anche i Vio-lence riformati sono stati bravi, non me lo aspettavo. La platea dei classici veri e propri di cui apprezzo anche i dischi recenti è abbastanza scarsa, sicuramente ci metto Slayer, Manowar, Judas Pries e Irons. E pure i Death SS!
Chi è Viperface e di cosa parla il brano che dà il titolo al disco? In generale, cosa connota i testi dell’album, credi ci sia un mood particolare rispetto a quelli dei lavori precedenti?
So che non è molto regressive, tienilo per te, ma i pezzi del disco sono ispirati ai Canti di Maldoror di Lautréamont, un pezzo per ogni capitolo, con “Regressive Metal” fuori concept (ho proprio usato questo termine prog). L’opera anticipa il surrealismo e non ha una trama precisa, quindi l’ispirazione è più che altro per immagini di cui ho enfatizzato gli aspetti leggibili in chiave di opposizione alla divinità (la faccia di vipera). Un concept un po’ libero, insomma, ma che mantiene i testi in linea col passato, magari con certi caratteri di epicità più marcati, ma che solo a una lettura superficiale sono un omaggio ai Manowar (haha!).
Total Metal, Absolute Metal, Obtuse Metal e infine oggi Regressive Metal. Si direbbe che c’è una tradizione o per lo meno un marchio di fabbrica che volete rispettare inserendo brani con questo tipo di titoli nei vostri album. Vi va di parlarcene?
La serie parte in realtà con “The Hammer And The Anvil”, pezzo del primo disco, che ancora suoniamo dal vivo, dai toni più ludici. Fra un proclama e l’altro vi citiamo un po’ di gruppi che ci piacciono, nella fattispecie la sacra triade Bathory, Venom, Hellhammer. “Total Metal” segue la stessa linea ed è nata non tanto come citazione del pezzo degli Atomkraft, quanto come crasi di “Witching Metal” dei Sodom e “Total Death” dei Kreator, infatti nel cantato cerco di emulare il forte accento tedesco dei nostri. L’idea di utilizzare toni più giocosi per esprimere le nostre consuete idee si è così sedimentata in “Absolute Metal”, dove ogni riga del testo cita un disco uscito nel 1984, poi in “Obtuse Metal” e “Regressive Metal”, in cui celebriamo la nostra ristrettezza mentale e, per dirla nei termini dei Laibach, attraverso la ricapitolazione del passato, mettiamo in discussione il presente. Occhio che nel prossimo disco arriverà “Retrogarde Metal”!
Grazie mille, al solito lascio a voi spazio per i saluti e per tutto ciò che mi fossi dimenticato di chiedervi.
Grazie per il supporto lungo tredici anni. Ne approfittiamo per salutare Niccolò Gallio, Velio Josto e Margherita Cesaretti che, con suono, copertina e fotografia, hanno contribuito a rendere Viperface quello che è.