Balestrazzi, Marutti, Verticchio, Del Col: un po’ di dischi dall’arcipelago post-industrial italiano
Per chi ci segue questo articolo cumulativo è abbastanza ovvio, al di là della necessità di gestire un numero di uscite che non accenna a esaurirsi nemmeno in quest’anno mortifero: Verticchio, Marutti, Del Col (e Blache) sono collegati in più modi. Balestrazzi è con loro su almeno un catalogo, quello di Silentes (anche OEC, se non erro), e non si tratta di un caso: il non-genere di non-appartenenza è più o meno lo stesso, anche se Simon è meno incasellabile. Di loro abbiamo parlato in un quantitativo sterminato di recensioni, quindi alcune cose le do per scontate. Ospite speciale: Robin Storey, altro artista molto prolifico, perché non è un vizio italiano quello di stampare tutto, dev’essere qualcosa che caratterizza chi ha un certo background, ma i tempi sarebbero cambiati.
Dimenticavo: qui non ho mai utilizzato la dicitura “dark ambient”, ma spesso avrei voluto.
Comincio con Andrea Marutti, a lungo cardine di questo giro con Afe Records e con moltissimi nomi di battaglia (Amon, Never Known, Hall Of Mirrors con Verticchio, Molnija Aura con Del Col…). In Impressioni Organizzate Di Ansie Liquide (un po’ eccessivo come titolo) collabora col field recordist Carlo Giordani, ed è ovviamente materiale “acquatico” a occupare la scena. Il disco è l’esito di anni e anni di scambi e ha tutte le caratteristiche di quelli di Andrea: il prendersi molto tempo per dipanare la matassa, il potere ipnotico, quel non so che di fantascientifico e spaziale. Di diverso dal solito – per fortuna – c’è la maggiore potenza del suono (nelle parti più invasive, ma anche in quelle più sinistre). Attenzione: il full length contiene due pezzi e lo vende Silentes, poi c’è un cd-r tre pollici su Taâlem che ne ha un altro, di pari valore e differente dagli altri due. Sempre su Taâlem, ma di fine 2019, il suo Sleepless Nights | Lysergic Mornings, altro cd-r tre pollici con un non so che di psichedelico, caratteristica inevitabile se ti privi del sonno… Bentornato, Andrea.
Collaborazione a distanza tra Nimh (Verticchio) e Rapoon (Storey, ex Zoviet France: un nume tutelare per tutti quanti). Anzitutto spero che i fan del secondo scoprano il primo e gli comprino tutti i cd. Sarebbe sempre ora. Precisato questo, le prime tre tracce sono praticamente sempre – venitemi incontro – psichedelia con colori “etnici”, il che non sorprende, perché entrambi sin dagli inizi combinano – anche qui: venitemi incontro – la loro matrice post-industrial con musiche e strumentazioni non occidentali: il viaggio potrebbe durare all’infinito e nessuno si lamenterebbe, anzi. Quarto e ultimo episodio, invece, meno efficace: dev’essere mancata l’intesa sul da farsi, i pezzi del puzzle non si incastrano alla perfezione. Ulteriore critica: le percussioni si assomigliano troppo per tutto il disco. Bene, ma ancora non benissimo.
Tocca a Balestrazzi, con un po’ di storie pensate per spaventarci, arte nella quale non è difficile immaginarlo superbravo. Qui abbiamo atmosfera: gli strumenti e gli oggetti sono manipolati e amplificati con uno scopo, che è quello di farci sedere in stanze piene di fantasmi o a renderci partecipi di qualche cerimonia di cui intuiamo la pericolosità pur non avendo chiaro tutto il contesto. Qualcuno avrebbe dovuto mandare una mail per tempo ad Ari Aster: con tutto che non stiamo parlando di un album che ridiscute i confini di qualcosa, pur non avvicinandosi manco per sbaglio ai cliché di genere, sono certo che il regista americano avrebbe scelto Simon anziché Haxan Cloak per “Midsommar”. Questa della marginalità italiana è però un’altra “tale”, diversamente spaventosa… Così come un’altra storia è quella di un album più intellegibile che la collaborazione con Quiriconi.
Curiosità: “There Is A Crack In Everything”. Seconda curiosità: i font utilizzati per l’artwork sono di sconcertante banalità, e non va bene, perché se tu – etichetta St.An.Da – pubblichi un disco al mese, te le stai cercando. Fate di meno, promuovete meglio, siamo sempre lì.
Sorprende la collaborazione Del Col – Blache. Se c’è uno che dichiaratamente vuole farci capire che suona un certo genere che non posso nominare, questi è Del Col. È legittimo, come è legittimo fare garage, se ti piace il garage. Secondo me, quando lo dichiari, hai risolto il problema. E invece qui siamo in un Altrove (o un Altroquando). Uno dei due, presumo Blache, aggiunge melodie e in generale sceglie suoni (di piano, di strumenti a corda o ad arco) più dolci, eterei, che spesso sanno d’antico. Siamo sempre in un Aldilà, ma la morte non sembra un’opzione così terribile, anzi… Terribile, invece, è l’abusatissimo campionamento del mare che sentirete nei minuti iniziali di Complaintes Au Bord D’Un Autre Monde, ma il resto è molto azzeccato. Le quattro donne in copertina (mamma mia, anche qui i font sono inaccettabili…) descrivono molto meglio questo disco di qualunque recensione.