Balázs Pándi
Balázs Pándi, classe 1983, è un batterista ungherese che ha suonato con un quantitativo spropositato di artisti e band, sempre di grande spessore. Passa dal metal al noise, dal jazz all’improvvisazione, dal drum’n’bass al dub, mescolando tutto. Attraverso i contrasti che crea abbiamo la possibilità di capire meglio i generi che ci piacciono o di osservarli sotto una nuova luce interpretativa. A volte la sensazione è che questo tipo di scoperte le stiamo facendo insieme a lui. Lo abbiamo visto per un breve periodo negli Zu (dopo l’uscita di Jacopo Battaglia e prima che la band si prendesse una lunga pausa), ma anche nei Metallic Taste Of Blood e negli Obake di Eraldo Bernocchi, poi in varie collaborazioni con un altro eclettico come Jason Kohnen (Bong-Ra), infine lo abbiamo osservato inventare dal vivo – in formazioni sempre nuove – assieme a Thurston Moore, Mats Gustafsson, Merzbow, Keiji Haino e KK Null. Con quest’ultimo (Kazuyuki Kishino dei Zeni Geva, in sintesi) suonerà in Italia fra pochissimo: lunedì 28 al Freakout (BO), martedì 29 al DalVerme (Roma), mercoledì 30 al Circolo Dong di Recanati, giovedì 1 dicembre a Cuneo (Boto’s Farm), venerdì 2 a La Spezia (Frame Live Club) per poi arrivare allo Spazio Aereo (VE). Riservato ai miei amici dell’Estremo Nordest (e del Nordest Estremo): oggi è a Fiume, domani al Gromka a Lubiana. Avevamo poco tempo per scambiarci qualche impressione, mi ha risposto mentre partiva per il tour, ma ho pensato valesse la pena incuriosire qualcuno. L’intervista finisce con Chuck Schuldiner, segno che come sempre la gente non sa cosa ci si perde a non essere metallari, per citare quelli di Metal Skunk.
L’Ungheria possiede un’importante tradizione musicale, ma sembra molto difficile per un batterista ungherese suonare con “l’aristocrazia” della musica estrema e improvvisata, come fai tuo. O come ha fatto e fa il cantante dei Tormentor, cioè Attila Csihar. Sei una sorta di eccezione? Sei molto motivato? Ti consideri anche un po’ fortunato?
Balázs Pándi: La musica non conosce confini. Penso che il mio esempio e quello di Attila ne siano buona dimostrazione. Di sicuro c’è bisogno di fortuna, ma vale per la vita di tutti. Non possiamo avere solo momenti tristi e sfortunati. Inoltre abbiamo lavorato duro, come chiunque fa musica. Ho appena trascinato 50 chili di equipaggiamento per la città, così da salire su di un treno e iniziare il tour con KK Null. Le cose non succedono se non lavori sodo.
Le persone spesso ti descrivono come un batterista-monstre. È pericoloso, perché non sei un acrobata e non lavori per un circo. Sei un musicista. Hai un’identità. Come descriveresti ai nostri lettori cosa cerchi da un punto di vista musicale?
La gente mi conosce soprattutto perché suono musica rumorosa ed estrema, portando il mio corpo oltre il limite con l’intensità e i volumi di queste performance. D’altro canto suono con Roswell Rudd, Wadada Leo Smith, in trio con Trevor Dunn e Jamie Saft, e dunque la descrizione di cui parli tu aiuta. Penso che i recensori necessitino di etichette e a me sta bene, chi ha voglia di scavare più a fondo riuscirà comunque a trovare la bellezza.
Ho letto in una tua intervista che odi i trigger. Nel contempo, però, lavori con tanti musicisti elettronici, dunque sono curioso di capire meglio le tue idee…
Una volta dicevo di essere contrario ai trigger. Adesso non me ne importa molto. Va bene qualunque cosa, se per qualcuno funziona. I Cattle Decapitation usano i trigger, e io li adoro. La loro musica ne ha necessità, essendo così veloce, tanto che dal punto di vista tecnico non capisco nemmeno bene come la suonino dal vivo. Mi piace di più il suono organico della batteria, e mi piace quando viene messa nelle condizioni di parlare. Non metto mai niente sui tamburi e non ho mai un cuscino nella grancassa.
Come recensore, nel corso degli anni ho scritto di artisti che chiamo “batteristi espansi”. Eli Keszler, Mike Weis (Zelienople), René Aquarius (Dead Neanderthals), Steven Hess (Locrian), Andrea Belfi, Frank Rosaly… tutti loro hanno realizzato degli album solisti usando la batteria e degli effetti, e basta. Di solito salta fuori una roba ambient/atmosferica. Hai un progetto simile per il futuro?
Sto lavorando su di uno specifico microfono a contatto che mi aiuterà con del materiale solista, ma sono stato in tour due volte e ci sto andando una terza per altre due settimane e mezzo, quindi spero di finire nella prima parte del prossimo anno e di poter comunque scrivere musica lungo il 2017. Tutto ciò che posso dire per ora è che è l’album solista è in moto.
Consideri Rare Noise Records casa tua? Come è iniziata questa collaborazione di lungo termine?
Ho conosciuto Eraldo Bernocchi tramite Massimo (Pupillo, ndr) degli Zu quando io suonavo dal vivo con questi ultimi poco prima che si fermassero per un lungo periodo. Realizzammo un disco in trio, divenuto poi quartetto col nome Obake. È da allora che Rare Noise è la mia casa musicale. Sono felice di lavorare con Giacomo (Bruzzo, fondatore di Rare Noise, ndr), che considero un ascoltatore serio e un gran pensatore: la nostra amicizia è cresciuta al punto che lo considero parte della famiglia, per me è come un fratello maggiore. Questi ultimi sei anni sono parte di un viaggio pazzesco, in cui devono accadere ancora molte cose incredibili.
Come e quando hai scoperto il noise giapponese? Sono stato fortunato e ho visto dal vivo Haino (da solo e con Peter Brötzmann!), Merzbow e KK Null, ma non mi considero un esperto. Vorrei conoscere i tuoi pensieri, perché hai suonato con tutti loro e questo sembra proprio un grande privilegio.
Ho scoperto il noise giapponese tra i 15 e i 20, quando ero ossessionato dalla ricerca di una musica che fosse la più intensa di tutte. Ovviamente non ci è voluto molto, una volta iniziato, a imbattersi in Merzbow. Suonare con Haino-san, Masami e Kazuyuki è fantastico e mi dà una consapevolezza che mi apre ancora di più il mondo giapponese, la sua tradizione, le sue origini, la sua cultura incredibilmente ricca. Ed è così che da quando suono con loro guardo in modo molto diverso alla noise music, sono affascinato dalla sua ricchezza, mentre da teenager ero più preso dall’aspetto della sua potenza.
Sembra molto difficile per gli occidentali interagire coi musicisti giapponesi. A volte per fare un’intervista le band chiedono un’interprete giapponese e a volte le loro risposte sono molto sorprendenti, perché loro possono vedere la loro musica in una maniera molto differente dalla nostra. È difficile per te comunicare coi tuoi amici?
Vado d’accordo con tutti. Usiamo un interprete quando facciamo show con Haino-san e abbiamo conversazioni davvero grandiose. Mi diverto molto con Kazuyuki, che parla fluentemente inglese e ci possiamo perdere per Kyoto per ore, mangiando nei bar e parlando della vita. È anche molto bello passare il tempo con Masami, che io considero uno dei miei più cari amici. A volte puoi dire tanto con solo poche parole.
Che ci dobbiamo aspettare dal tuo disco e dal tuo live con KK Null? Le tracce che avete condiviso, “Star Crasher” e “AFRIPROGNOIZ”, sono buoni indizi? Grazie!
Come diceva l’ultima band di Chuck Schuldiner – i Control Denied – nella sua formidabile hit: Expect the unexpected!