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BAD RELIGION, Age Of Unreason

BAD RELIGION, Age Of Unreason

La band ha sempre rappresentato i valori dell’illuminismo. Oggi questi valori di verità, libertà, uguaglianza, tolleranza e scienza sono in serio pericolo. Questo album è la nostra risposta.” (Brett Gurewitz)

Partiamo da queste parole e dalla risposta dei Bad Religion ad un’ipotetica domanda sulla molla che ha spinto la band a realizzare un nuovo lavoro  in studio, il diciassettesimo per la precisione, per giunta pubblicato a ben sei anni dal precedente True North. Nel 2013 non c’era ancora Trump e questo fa una grossa differenza soprattutto per una formazione che ha sempre fatto della lotta allo spirito più reazionario  e bigotto degli USA la propria bandiera, sin dalla scelta del nome. Non a caso, si parla di Illuminismo e si intitola un brano “Old Regime”, a suggerire un tentativo di restaurazione in atto, una retromarcia che rischia di cancellare valori ormai dati per scontati, dato che sembra di vivere una nuova era in cui politica e religione appaiono legati come ai vecchi tempi. Fosse anche e solo per questo, Age Of Unreason apparirebbe ai nostri occhi giustificato e il suo valore aggiunto risiederebbe nella denuncia contenuta in ciascuno dei quattordici testi, ricchi di richiami all’attualità e di riferimenti a questo periodo oscurantista. In realtà, la scrittura appare aver subito la stessa cura rinvigorente delle lyrics, la musica per quanto varia e non priva di qualche momento un pelo stucchevole (“Lose Your Head”) risulta dotata della giusta spinta e tracima energia dalle casse, le melodie sono azzeccate e entrano in mente dal primo ascolto, tutto suona come dovrebbe suonare un album dei Bad Religion, giocato sulla convinzione e non sul mero mestiere. Alcuni brani, poi, promettono di fare un’ottima figura una volta riproposti in sede live e non mancano nemmeno una manata in faccia di pura rabbia hardcore punk o un brano con un riff hard-rock e un assolo da manuale (merito di Baker e della sua esperienza nei Junkyard?). Soprattutto, c’è quel tratto tipico a cavallo tra potenza e melodia, cori in crescendo e testi da mandare a memoria che ha conquistato generazioni di ascoltatori  e ha permesso alla band di continuare a sfornare dischi e calcare palchi dall’ormai lontanissimo 1980, in pratica quaranta anni tondi da qui a pochi mesi. Viene quasi da chiedersi che senso abbia continuare a registrare nuove canzoni quando potresti campare suonando sul palco i vecchi classici, da dubitare dell’interesse che possa suscitare l’ennesimo disco dei soliti grossi nomi dopo tutto questo tempo. Tutte domande sacrosante e fondate, ma anche dubbi che vanno inesorabilmente – e con buona pace della razionalità tanto cara ai musicisti in questione – nel dimenticatoio, almeno una volta che si preme il tasto play e le note escono dalle casse. Del resto, di fronte ad un lavoro riuscito come Age Of Unreason, ‘stigrancazzi di capelli spaccati in quattro e dei dubbi amletici, mi si passi il francesismo.