AVOLA, Psykor
Veronica Avola, da Portland, nel 2021 rientra per due mesi in Liguria, a Rapallo. Con la madre si immerge nel mondo lasciato poco tempo prima dalla nonna, vittima del COVID. Questo lutto, la sua elaborazione e i suoni dei passi scomodi e pratici da effettuare in questa contingenza, sono il polo attorno al quale questo nastro si muove. Il suono è granuloso, lento e maestoso, caldo. A tratti si potrebbe quasi ipotizzare una comunione con il dub. “Cave Rave”, ad esempio, tra rimbombi e cigolii. Altrove l’ambientazione si fa più nervosa e glitch, permanendo comunque un’elasticità che sembra la cifra stilistica di Avola (nel suo passato tra le altre cose ha collaborato con Thrones, Oxbow e Daniel Menche). È un’elasticità fisica, quasi giocasse con tendini, muscoli e scorie noise, trasmettendo l’idea di una commistione quasi cyborg. Il pensiero va ovviamente a Kevin Martin, sia come The Bug che come Techno Animal. Veronica ha comunque una personalità sua ben definita e di sicuro la contestualizzazione del lavoro aiuta a definirne i confini. Quando i toni si fanno più acuti, anche solo per qualche secondo, come in “Psycho Dream”, ci si ritrova tra flash e fuochi fatui che si aggrappano a trapani sulle medie frequenze che sembrano opera di Brian Yuzna e del suo “The Dentist”. Poi arriva un organo e dunque il suono dell’orrore più classico, da Vincent Price a Dario Argento, si fa avanti: è “Brain Worm”, vera e propria summa emozionale del lavoro, dove la luce salta e ci si ritrova assediati dal terrore. Il sistema sembra impazzito ma, in qualche modo, Avola riesce a portare a termine il proprio percorso: l’ultima traccia, infatti, “In The Mourning”, è quella che, in un mondo distrutto, si potrebbe chiamare pace. Quel che sembra essere una sirena, o forse un flauto, il soffio del vento, un circuito bloccato che continua fino allo sfinimento, il nulla intorno. Mare, colline, una Liguria buia, catatonica ed incantata.