Avant! Records: intervista ad Andrea Napoli
L’etichetta bolognese opera ormai da quasi dieci anni e sta cercando di tracciare un percorso legato a sonorità generalmente oscure e sempre piuttosto dirette, figlie di un mai sopito amore per certe estetiche risalenti agli Ottanta/Novanta. Allo stesso tempo s’impegna a costruire fili comunicativi, e distributivi, con realtà europee e non, che la posizionano a buon diritto in quell’esteso alveo che vede pullulare situazioni sempre particolarmente attive e legate a doppio filo a pratiche diy, e Bologna in tal senso storicamente ci ha insegnato tanto. Questa è l’intervista che ci ha concesso il suo fondatore, Andrea Napoli.
Maurizio Inchingoli: Andrea, quando nasce l’etichetta e perché decidi di pubblicare lavori di un certo tipo?
Andrea Napoli: Avant! nasce come per molti dall’esigenza di autoprodursi, che poi quasi sempre significa co-produrre, perché agli inizi i soldi per stampare da solo non ce li hai. Nel mio caso il disco da far uscire era il secondo sette pollici di His Electro Blue Voice. Il motivo penso sia lo stesso per tutti: pubblicare la musica che ti piace, quella che pensi abbia bisogno di essere messa in giro. Poi con il passare degli anni e delle uscite una certa estetica prende forma, e ti trovi a confrontarti con dei confini, dei contorni, che per loro natura possono essere una fregatura o un punto di forza. Il bello è sapersi muovere al loro interno sempre creando qualcosa in cui riconoscersi anche anni dopo.
Maurizio: Vieni da un percorso legato alla scrittura, eri (o sei ancora?) in forze a Sentireascoltare, ma da tempo ti concentri sulla pubblicazione/distribuzione di dischi. Sei pure passato in una band, quegli His Electro Blue Voice appunto, che qualche anno fa fecero notizia per avere firmato per la Sub Pop…
La parentesi della scrittura è durata solo qualche anno in realtà, poi per ragioni pratiche ho preferito non continuare e dedicarmi a quello che so fare meglio, e cioè produrre la musica di altri. Stesso discorso per His Electro Blue Voice, gruppo di cui sono stato co-fondatore a inizio anni Duemila e in cui ho suonato fino a Ruthless Sperm (ultimo disco in cui sono alla batteria). Quando le condizioni mi mettono di fronte a delle scelte da fare non ho dubbi: l’etichetta (le etichette, in realtà, essendo Yerevan Tapes nata già da qualche anno) viene prima.
Maurizio: … e come scegli le band e gli artisti da pubblicare? La Avant! Records ha, direi, un respiro piuttosto internazionale…
Avant! ha sempre avuto più realtà estere che non italiane per ragioni, ancora una volta, pratiche. I gruppi italiani papabili per Avant! si contano davvero sulle dita di una mano: Horror Vacui, Movie Star Junkies, How Much Wood Would A Woodchuck Chuck If A Woodchuck Could Chuck Wood?… Tutte band che a un primo sguardo non c’entrano nulla l’una con l’altra, ma che all’interno del catalogo acquisiscono un loro senso, almeno per me. Probabilmente gli italiani si devono impegnare di più, o forse c’è poco interesse per il tipo di sound che io voglio portare avanti. Troppo spesso da noi (ma non solo in realtà) post-punk è ancora sinonimo di dark, inteso solo come goth tutto latex e dreadlock fluo. Chiunque può vedere che non è questo che mi interessa.
Giulia Romanelli: Tra le release della Avant! Records ci sono i bolognesi Horror Vacui, che nascono da una scena punk diy molto solida. Non mancano poi nomi più grossi accanto a progetti underground seri che stanno trovando il loro spazio. È una dualità che c’è sempre stata, o è il risultato di un percorso?
Di sicuro non è il frutto di un piano a tavolino. Ci sono gruppi con un potenziale maggiore, e altri che magari fanno un album e poi scompaiono, ma questo rientra nel (dis)ordine delle cose. Certo aver pubblicato dischi per band come Cult Of Youth, King Dude, Lust For Youth prima che passassero ad etichette più potenti e arrivassero a un pubblico più ampio è motivo di orgoglio (perdonami il termine): significa che stai lavorando bene. E poi una considerazione secondaria solo in apparenza: un gruppo con un pubblico più grande ti dà anche la possibilità, come etichetta, di pubblicare artisti minori senza andare in bancarotta. Sembra una cazzata, ma fidati che aiuta non poco l’equilibrio complessivo.
Giulia: Sappiamo che i contatti con etichette e distribuzioni europee (ed extra) non ti mancano, a partire dalla newyorkese Sacred Bones Records. Dall’interno, trovi che ci siano delle differenze sostanziali tra realtà internazionali e italiane? Parlo di investimenti (tempo, soldi, sbattimenti), costanza, e soprattutto efficienza?
Le etichette italiane spesse soffrono di un “isolazionismo” un po’ autoinflitto e un po’ subito dall’estero, una cosa che con Avant! ho sempre cercato di combattere perché mi sta stretta. Poi dipende molto anche dal tipo di proposta musicale, esempio stupido: se fai cantautori italiani è ovvio che il tuo bacino d’utenza sarà il pubblico nazionale, ma se fai post-punk o musica sperimentale o anche elettronica, non puoi non guardare all’estero. Ad ogni modo la differenza non è mai tra italiani ed esteri, ma tra chi si dedica anima e corpo e lavora bene e chi gestisce il tutto in maniera più hobbystica, quando non a cazzo proprio. Ne troverai di entrambi sia in casa, sia fuori.
Maurizio: Ora parliamo dell’Italian Occult Psychedelia. La tua etichetta c’entra poco con quel tipo di uscite, ma mi piacerebbe conoscere lo stesso la tua opinione su questo fenomeno del quale s’è parecchio dibattuto…
Il fatto che se ne sia discusso in rete, anche se solo tra i soliti addetti ai lavori, è una cosa che mi fa piacere perché significa che qualcosa è successo. Partendo dal presupposto che tutti i fenomeni di questo tipo hanno una natura effimera, io resto dell’idea che si poteva fare di più. Sto parlando in un’ottica promozionale, discografica, perché è quella che mi riguarda. Prima cosa che mi viene in mente: un booking che curasse il maggior numero possibile di artisti legati all’Italian Occult Psychedelia e che esportasse il vero fottuto Made In Italy. Questo non è successo, vuoi per mancanza di lungimiranza, di tempo, di fiducia, di soldi, ed è un peccato.
Maurizio: Mi piacerebbe sapere cosa ascoltavi quando eri poco più che adolescente, e quali sono i dischi che in un certo senso ti hanno poi cambiato la vita, se ce ne sono stati.
Io a livello di formazione arrivo dal metal e dal punk. Dischi e tappe fondamentali così su due piedi direi di sicuro il primo degli Iron Maiden e Filosofem di Burzum per il metal, i dischi della Crypt e In The Red per il punk più deviato anni Novanta, i Death In June e Der Blutharsch per il neofolk e l’industrial. E i Cock Sparrer, sempre.
Maurizio: Hai una band che ti piacerebbe pubblicare per la tua etichetta? Mi dici quali sono le realtà che stimi e supporti?
Band con cui mi piacerebbe lavorare ce ne sono tante: Keluar, Agent Side Grinder e Lebanon Hanover sono dei nomi conosciuti, ma ci sono anche tanti gruppi medi e piccoli che meritano. Etichette con cui spesso scambio sono Beläten, Peter Out, Aufnahme+Wiedergabe (come puoi vedere sono tutte europee), e in città Agipunk e Maple Death Records. Con Boring Machines, No=Fi Recordings, Haunter Records e Black Moss è più Yerevan Tapes a confrontarsi, per un ovvio discorso di sonorità. Poi ci sono realtà come Hundebiss Records e Holidays Records con cui c’è meno interazione, ma la stima reciproca è salda.
Maurizio: Raccontami delle prossime uscite.
A brevissimo avremo un po’ di merch nuovo, che è una cosa a cui forse non ho dedicato abbastanza attenzione nel corso degli anni. Verso aprile ci saranno nuove uscite per i francesi Rendez-Vous, i canadesi Koban, e a seguire gli americani YOU.. Anche i Night Sins stanno preparando il nuovo disco, quindi di roba ce n’è, come sempre…