AUDEN, Some Reckonings
Devo essere sincera: non avevo idea di chi fossero gli Auden finché non ho avuto tra le mani il loro disco da recensire. Non sono una persona che riesce a dare giudizi musicali senza assorbire completamente il percorso e il pensiero di chi a quella musica sta dietro, così ho deciso di rivolgermi direttamente a loro, di leggere quanto più possibile riuscissi a trovare in internet e di ascoltare i loro pezzi leggendone i testi.
Gli Auden sono un quartetto di Viterbo che si forma tra la metà e la fine degli anni Novanta, un periodo storico importante e ricco per la musica “alternativa”: Fugazi, Van Pelt, Afghan Whigs sono solo alcuni degli ascolti che li hanno influenzati in quegli anni. Anche in Italia si stava iniziando a formare una “scena” musicale, soprattutto al centro, caratterizzata da sonorità più vicine all’hardcore old e new school. Gli Auden erano intrisi di tutto questo e cercavano di condensarlo nella loro musica, come è ben evidente nel loro ep di debutto “Love is Conspiracy”, un piccolo gioiello emocore rimasto sepolto per circa un decennio prima che la V4V decidesse di ristamparlo, due anni fa. Immaginate quanto potesse essere difficile per dei giovani viterbesi riuscire a emergere nei primi anni Duemila: scarsi strumenti tecnologici, l’unico social media esistente era MySpace, connessione LAN-Ethernet e Internet Explorer: qualche evento “sfortunato” (un mini tour annullato mentre stavamo preparando la macchina, due etichette che hanno fatto marcia indietro…) ce l’ha fatta prendere malino. Per un po’ le cose sono state difficoltose, non riuscivamo a vederci facilmente per provare, forse avevamo perso interesse, non si era chiuso il discorso (il disco non era uscito veramente), abbiamo cambiato formazione e provato anche a cambiare suono, aggiungendo dei synth, ma era un esperimento non riuscito al meglio. Allora ci siamo fermati pensando che fosse una cosa di mesi. E invece sono passati anni. Poi non sappiamo bene cosa è successo, abbiamo messo il disco su Bandcamp perché fosse ascoltato da più persone rispetto alle copie promo che erano girate e per molti era come se fosse uscito in quel momento, mi ha detto Stefano. Il dibattito sul fatto che internet abbia ucciso la musica è ancora acceso, ma possiamo dire che in questo caso è proprio grazie alla rete se la band è riuscita veramente a farsi ascoltare.
Ed è così che due anni dopo esce Some Reckonings, otto tracce per la durata complessiva di poco più di mezz’ora, un album che ha avuto un periodo d’incubazione lunghissimo, che contiene pezzi del passato e del presente ed è perciò il sunto e la summa di tutto ciò che cambia nella vita di una persona nel periodo che va dai turbamenti della post-adolescenza alla consapevolezza di sé che avviene con la maturità, con gli errori, coi rimpianti.
“The Day Of Reckoning” apre senza tanti fronzoli: è il giorno della resa dei conti o una svolta? L’urgenza compositiva è affidata al gioco di chitarre e batteria, che sembrano marciare insieme sulla via del riscatto; in tutto il disco i momenti di chiaro/scuro si alternano, passando dalla naturalezza di “False Restart”, brano di vecchia fattura che sembra suggerirci che questa non è una falsa ripartenza ma un nuovo inizio, a “The Winter Of Two Thousand and Ten”, una ballata più lenta e scura dove il cantato-quasi-parlato si alterna a quei cori che non puoi fare a meno di seguire urlando. Penso che il brano che più riesce a concentrare dentro di sé tutte le caratteristiche della band sia “Rather Not To Believe It”, nel quale l’energia iniziale del Mid-West emocore e delle voci dei membri che si uniscono lascia spazio a un finale più riflessivo, cadenzato, malinconico, che rispecchia tutto ciò che l’emocore è sempre stato: una stratificazione di suoni e voci che riuscissero il più possibile a ricreare un sentimento tramite la musica. La chiusura è affidata a “Curtain”, amaro sia dal punto di vista musicale che da quello testuale, nel quale affiorano tutte le paure e le consapevolezza dell’età adulta, compresa quella di aver, forse, sbagliato.
Cosa differenzia quindi gli Auden del passato dagli Auden di oggi? Prima era il senso di spaesamento e di malinconia post-adolescenziale a farla da padrone. Ora ci sono molti fantasmi e rimpianti da esorcizzare. Prima era Coupland di “Generazione X” (per farti un paragone letterario), ora è Houellebecq.