ATOM MADE EARTH, Severance
Avevamo già incontrato gli Atom Made Earth ai tempi dei precedenti Border Of Human Sunset (2014) e del successivo Morning Glory (2016), un netto passo in avanti e un serio tentativo di ricercare un suono personale che appariva comunque ancora troppo eterogeneo nella sua voglia di non porsi limiti e di esplorare ogni sfaccettatura della propria tavolozza. A distanza di qualche anno e con un cambio di formazione che ha visto la sostituzione di batterista e tastierista (in pratica metà della band), i marchigiani tornano con un album che vede come novità più rilevante l’inserimento della voce, presa in carico dallo stesso chitarrista (ma non solo) Daniele Polverini. In realtà, seppure preponderante, la scelta di arricchire la propria proposta col cantato è solo uno dei molti cambiamenti operati in seno al linguaggio della band, che appare oggi essersi alleggerito delle sue componenti più aggressive a favore di uno stile più coeso e meno poliedrico, in qualche modo “leggero” nel suo attestarsi su lidi post-rock venati di prog, in cui la distorsione fa difficilmente l’ingresso per lasciar spazio a trame più soffuse. Se, da una parte, viene meno un pizzico di varietà e di energia, dall’altra gli Atom Made Earth sembrano aver optato per una chiara scelta di campo che permette all’ascoltatore di seguire più facilmente il loro percorso e di fare i conti con una personalità dai contorni più precisi e meno ondivaghi. Del resto, sulla perizia tecnica e sull’attenzione posta nella scrittura avevamo già avuto modo di soffermarci in passato, fattori che sono rimasti immutati e che continuano a segnare l’evoluzione di una band che non lascia di certo la forma in secondo piano rispetto alla sostanza. Proprio questo equilibrio tra tecnica e scrittura, capacità di impreziosire il proprio segno e sensibilità nel tracciare traiettorie sonore dal mood sognante, a tratti etereo, si rivelano l’odierna firma della band e il suo tratto distintivo, perché in fondo, ciò che fa di Severance un album ambizioso ma non pesante è proprio questo approccio delicato e quasi sussurrato. Non per tutti, soprattutto non per gli amanti di sonorità più corpose/aggressive, eppure un viaggio che potrebbe affascinare e coinvolgere anche chi solitamente non ha dimestichezza con simili proposte.