ASTROSAUR, Obscuroscope [+ il video di “Elephant Island”]
I norvegesi Astrosaur ci offrono uno strano ibrido tra tecnicismi elaborati e costruzioni dal taglio tipicamente metal, lunghe suite dal forte appeal spacey ed energiche cavalcate, senza perdere quasi mai di vista la fruibilità finale e la voglia di coinvolgere l’ascoltatore in esplorazioni ai confini della Galassia. In qualche modo sembrano un ibrido tra l’approccio di Colin Marston (Behold… The Arctopus, Dysrhythmia, Krallice) e una sorta di Hawkwind rivisitati in salsa post-metal (East Of The Wall?). Il risultato di questo approccio fuori dai generi e sopra le righe quanto a virtuosismi regge per qualche strano motivo e si lascia ascoltare con piacere, spesso intriga e trascina dalla sua parte anche chi non è solito attardarsi in lidi prog né tanto meno in barocchismi. Questo, ovviamente, è un bene, perché a fine corsa il sapore è quello di una miscela stramba che merita di essere assaporata e che ha dalla sua delle carte interessanti, soprattutto laddove riesce a centrare il tema portante di Obscuroscope, ovverosia l’esplorazione e la curiosità che la muove, la stessa che evidentemente spinge gli Astrosaur, portandoli a incrociare percorsi solitamente non facili da far coincidere alla luce dell’eterna diatriba tra tecnica e feeling, narcisismo nel testare i propri limiti e voglia di condividere le emozioni con il proprio pubblico. C’è anche un che di fusion, di voglia di sposare jazz e rock, ma riletto alla luce di quelle che sono le strade intraprese più di recente da formazioni quali i Jaga Jazzist (forse il riferimento più immediato) e non di certi pastiche un po’ manieristici e datati che questo termine porta alla mente il più delle volte. Ecco, se proprio dovessimo tentare di condensare Obscuroscope in poche parole, si potrebbe parlare di un bizzarro esperanto interdisciplinare che sfiora linguaggi solitamente impegnativi per alleggerirli con abbondanti dosi di metal nei riff e nella voglia di distorsione, qualcosa che fa flirtare la band persino con lo stoner. Insomma, c’è tanta carne al fuoco, forse persino troppa, ma il tutto si tiene e permette agli Astrosaur di portare a termine la traversata senza annoiare e soprattutto lasciandosi riascoltare volentieri.
Oggi vi proponiamo un nuovo video in anteprima intitolato “Elephant Island” (che segue di qualche luna alla prima visione di “Poyekhaly”), descritto dai ragazzi in questi termini: Like the rest of Obscuroscope, ‘Elephant Island’ is inspired by curiosity and explorations. It was only fitting to include video from our own expeditions, so we used footage from concerts in Kristiansand, Berlin and Paris. Nel video si osserva difatti la commistione tra immagini non ben indentificate riprese dallo spazio e frangenti in cui il gruppo suona dal vivo. Il passaggio tra i due momenti avviene ricorrendo a delle interferenze, che lasciano presagire la provenienza non terrestre della modalità con cui gli Astrosaur utilizzano le note per dar forma a qualcosa che sia esclusivamente loro prerogativa. Buona visione e soprattutto buon ascolto.