ARTHUR KING, Changing Landscapes (Mina Las Pintadas)

Dietro il buffo monicker di Arthur King si cela dal 2017 il musicista e artista multimediale losangelino Peter Walker (chitarra ed elettronica), coadiuvato da un ensemble dall’assetto variabile, composto fra gli altri dall’ex Dengue Fever David Ralicke alla tromba e ai fiati, Danny Frankel batteria, Jimi “Cabeza” De Vaca e Joel Jerome alle chitarre, Pat Shiroishi e Koool G Murder a basso e synth, Denny Wenston a percussioni e batteria, Aaron Espinoza alla produzione. Fondati all’interno degli studi di AKP Recordings, una vera e propria Factory multimediale creata da Walker stesso, gli Arthur King si sono inizialmente dedicati alla sonorizzazione di eventi artistici, mostre e film, reiventando gli score di “Blade Runner”, “Edward Mani Di Forbice”, “Jurassic Park”, “Delicatessen”, “Nosferatu” di Murnau, “Planet Of The Apes” (quello del 1968), ma sorprendentemente anche di un film come “Le Quattro Volte” (2010) del nostro Michelangelo Frammartino (chissà se lui lo sa?).

Veniamo all’uscita di Mina Las Pintadas, compimento della trilogia dedicata ai mutamenti ambientali causati dall’uomo: il primo capitolo era stato registrato sulle isole scozzesi Eigg, il secondo presso gli allevamenti intensivi di bovini dello Iowa, questo terzo è ispirato al lavoro dei minatori nelle miniere di rame del Cile e in parte registrato all’interno di questi giacimenti da sempre al centro di vasti interessi economici, gioia di pochi, incubo per molti.

Un filo rosso lega, fin dalla scelta dei film sonorizzati, tutta  l’opera del progetto Arthur King tanto concettualmente, quanto musicalmente: temi come il nostro rapporto con il pianeta e con gli animali, e il depauperamento del paesaggio, quest’ultimo già intuibile dalle primissime note di “Rivertail”, dall’ album del 2017 Palmetto, per giungere ora a questo Mina Las Pintadas, tributo all’immenso trombettista Jon Hassell e alle sue musiche del “quarto mondo”, che poi si evolve un viaggio lisergico fra i più eclettici ed avventurosi udibili oggi.

Nello specifico è qui il ritmo pulsante dei minatori che detta il tempo, la cadenza alle composizioni, muovendo dalla hasselliana “Gracias A San Lorenzo” per dipanarsi brano dopo brano lungo un labirinto sonoro sotterraneo, psichedelico, con echi poliritmici inconsueti di un redivivo Jaki Liebezeit ex Soon Over Babaluma. Si passa da “Tierra Amarilla”, ancora in territori Fourth World, ai 13 minuti incantatori fra field recordings e percussioni di “La Farola” (il faretto che hanno i minatori sul casco) alla ragione di vita di “Cobre” (rame), il drammatico crescendo di Dinamitar, il finale emozionante “Caminando” giunge con la melodia iniziale dedicata a San Lorenzo che ritorna e le voci registrate di quel mondo sotterraneo mentre risalgono in superficie dirette verso i villaggi minerari.

Come dicevamo per il nuovo disco di Emeka Ogboh, dedicato all’universo sonoro contemporaneo africano, anche qui l’invito al viaggio, ad esplorare altri mondi, altre realtà, è tanto manifesto quanto urgente.