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ARIEL PINK, 7/3/2015

Ariel-Pink

Bologna, Locomotiv Club. Grazie a Emanuele Rosso per averci permesso di utilizzare le foto a corredo del report.

Plastica, caos e demenzialità. Questo il riassunto del live di Ariel Pink al Locomotiv, un concerto senza inizio e senza fine, un violenta frana di caramelle psicoattive pronta per essere ingerita da tutti i partecipanti, servita su un piatto d’argento scadente, fin troppo curato nei particolari rococò. L’orchestra moribonda occupa tutta la superficie del palco: si contano 7 componenti, fra sax, tastiere, percussioni; tutti utilizzano la voce, ma è Ariel a far da conduttore visionario e a distruggere qualsivoglia speranza di razionalità. Per alcuni, compreso il sottoscritto, ci è voluto un po’ per immedesimarsi all’interno dell’atmosfera live di Ariel Pink, dato che i suoni lo-fi presenti su disco vengono rimpiazzati da un grumoso impasto semi-ovattato, ma sempre sotto controllo. È anche vero che Pom Pom, ultimo album dell’artista, è più patinato, ma comunque quella polvere che accarezzava tutto il suo percorso un po’ ci manca. Ad ogni modo la grinta è quella che ci si aspetterebbe, la maggior parte dei pezzi (“Not Enough Violence”, “Four Shadows”…) sembrano suonati da un elettrone perso all’interno di un giocattolo cinese, eppure ogni tanto l’eccessiva tecnica e maestria dimostrate un po’ scardinano quella sensazione di squallore che si vuole raggiungere (a tratti paiono usciti dalla Red Bull Music Academy appositamente per far ridere, non per trasmettere l’alone di sudore che permea le canzoni originali). Sono i coloratissimi video ad aumentare le dosi di sporcizia. Si tratta di immagini prese dai peggiori programmi televisivi, al limite del cattivo gusto, che mostrano feticismo dei piedi, cellulite, obesità, culturismo femminile e altre delizie soft-porn e non. D’altronde anche la presenza scenica del bambolotto rosa di Beverly Hills è alquanto squallida, volutamente; e proprio per questo si sposa ai video dei quali il gruppo sembra recitare gli inframezzi pubblicitari. Non c’è un attimo di pausa, Ariel non lascia un secondo per respirare il suo fiato umido, anzi diventa sempre più partecipe, percuote parti di strumenti, suona la chitarra, aiuta il leggendario batterista dei Germs, Don Bolles, vestito con un completino due pezzi, a generare confusione e piccole interruzioni comiche. Fra “lipstick” e “Black Ballerina” c’è la presentazione – sempre spassosa – dei componenti, che vengono numerati in modo sessuale con nomignoli astrusi. I non fondamentali bis vengono proposti senza pantomime e senza lasciare il palco, per un pubblico che si sta divertendo ma non è neanche così movimentato dagli acidi spruzzati da quest’ora abbondante di live al limite dello psichedelico.

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