Aria di rivoluzione, un’ultima canzone
Aria di rivoluzione, un’ultima canzone
poiché a grandi cose fatti non fummo, Maestro
e i violini in rima baciata suoneranno ancora e altrove.
Ti sei mai chiesto quale funzione hai?
Imparammo la pronuncia del tuo cielo
ma al primo piano dell’eternità non piove
e anneghiamo in una ridda di domande
tra la nuca labirinto
e il magistero di un basso continuo
per l’estasi dei santi, l’estro, il portento
mentre l’epoca livida e sciocca declina e dilaga
dove non servono palindromi
né bastano prolegomeni ad ogni futura astrofisica
per dischiudere porte che non sai.
Parlami dell’esistenza di mondi lontanissimi, Maestro
portami lontano dalla pallida assemblea dei cretini
fuggiamo insieme dall’impero delle banalità
scioglimi l’Artico, parla agli antichi bambini
agli splendidi diavoli
traduci per me la moltitudine
introducimi alla voragine del silenzio:
sbucceremo verità come mandarini
semi di tempo
a profumare le dita di vita
e il mondo fica cantato in siculo, in arabo
la gloria e la rinuncia degli anacoreti.
un panorama dispari, esatto
al suono delle cavigliere del Kathakali.
La tua voce, i vostri oscuri misteri
i nostri sciocchi regali, Maestro
insegnami l’arte degli àuguri
dimmi come si indovinano le intenzioni delle creature con le ali.
Con le regole assegnate a questa parte di universo
invoca per me le sabbie ed i popoli dell’Oriente
che una dea complice ci sussurri un altro verso
lingua lumaca sulla terra riarsa dei secoli
e bava di cosmo
l’estasi della filosofia
una bruma di pellicola a sfocare
ancora le intuizioni
quel fiore inabitabile e notturno
sempre si schiude
e l’ovunque che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude
splendidi rumori
a trafiggere la notte dei profeti
gli archi fotografati del nostro sistema solare
e cosa resterà
dei nostri amori.