ARBRE DU TÉNÉRÉ, La Pelle Del Fantasma
Conosco già il tuo sapore
conosco l’odore della tua mano
signora della paura,
signora della fine.
Ho toccato già le tue ossa
attraverso la tua carne senza età
plasmata da insetti millenari
e da calici di fiori futuri.
René Daumal
Suggestiva l’idea di rappresentare in musica la storia dell’albero più isolato al mondo, un esemplare di acacia che si ergeva solitario nel deserto del Ténéré, nella parte centromeridionale del Sahara (pare che non ve ne fossero altri nel raggio di oltre quattrocento chilometri tutt’intorno). Ad avanzarla un duo composto dal chitarrista Maurizio Abate e dal designer Giovanni Donadini (aka Canedicoda, e Ottaven quando si tratta di suono), qui sotto la programmatica ragione sociale di Arbre Du Ténéré.
Il disco in questione, intitolato La Pelle Del Fantasma, uscito lo scorso novembre in 150 copie viniliche per Holidays Records, contiene due lunghe tracce (“Ritmo Di Sabbia” e “Harmattan”) desolanti almeno quanto l’oggetto della loro narrazione musicale: quasi quaranta minuti stranianti per definizione, restii a farsi assimilare anche dopo ripetuti ascolti, ma che importa, in fondo?
I due procedono in forma di dialogo serrato e indecifrabile, “tra aperta improvvisazione e volontà di strutture armoniche”. La chitarra di Abate, che in passato mi è spesso sembrata accecante come un raggio di sole che spunta tra le nuvole, qui si trova a sfilacciare lunghe improvvisazioni senza apparente soluzione di continuità. Donadini, invece, si prende in carico il fascino ambiguo della spontaneità, sfruttando variazioni casuali al fine di abbozzare strutture ritmiche minimali. È musica senza baricentro, psichedelica e disturbata, che va alla ricerca di un senso, e proprio per questo in perenne condizione di smarrimento.
La Pelle Del Fantasma è sì un omaggio alla singolarità e al caso unico, ma pure bisogna considerare come la gelida inquietudine dei due brani coincida con il carattere ineludibilmente freddo del simulacro metallico che oggi si erge al posto dell’albero. Nel 1973, infatti, l’acacia fu investita da un camionista a quanto si dice ubriaco: una storia vecchia quanto il mondo, un particolare che spiega bene il carattere ombroso di queste musiche. Ascolto da accompagnare con il video-collage muto per l’occasione ideato da Natalia Trejbalova e dallo stesso Canedicoda.