Aprire fessure, intervista ad Elsa Martin
Di Sfueâi, uno dei dischi più belli del 2019, abbiamo parlato nella rubrica Notizie dal Diluvio, dove, sapendo già in partenza di fallire, cerchiamo di dare notizia dei dischi che non meritano di passare sotto silenzio nell’alluvione quotidiana di materiali che circolano. Quel lavoro si staglia sull massa per la forza della sua poesia nitida e sottovoce. Abbiamo parlato di questo ed altro proprio con la voce di quel disco, Elsa Martin.
Mi racconti come nasce Sfueâi? Ed il rapporto con la poesia e la lingua friulana?
Elsa Martin: Sfueâi nasce anzitutto dalla grande fortuna di aver incontrato (e “riconosciuto”) sul mio percorso Stefano Battaglia. Tutto è nato, ormai diversi anni fa, dalla frequentazione dei suoi Laboratori di Ricerca Musicale intorno alla prassi dell’improvvisazione, che tiene da decenni in diverse parti d’Italia. Il fatto che nella musica mi esprimessi in Friulano ha innescato una vicinanza speciale con lui, perché manifesto di una connessione con una lingua e una terra, testimonianza di un legame, di un’identità e, quindi, di una verità. Poi c’è stato l’amore di entrambi per la poesia. Per quanto mi riguarda la trovo un’arte sublime capace di svelare mondi. Non a caso la sua etimologia, poiein, descrive l’atto della creazione. È uno strumento rivelatore potentissimo, in grado di squarciare veli e aprire fessure, innescare intuizioni, accedere a terreni di coscienza. Ho avuto il grande dono di entrare in contatto intimo con poeti della mia terra, in particolare con Pierluigi Cappello, di goderne della compagnia e della sensibilità e di percepire come tanta bellezza di parola fosse il risultato di ore e ore di studio e artigianato, di cesello instancabile e di sintesi finale in grado di far percepire, leggendo la semplice parola “erba”, l’odore umido della terra del Friuli al calar della sera. Cosa che non può essere spiegata, perché intrisa di mistero, che per sua natura rifiuta ogni tipo di comprensione esclusivamente intellettuale. E la stessa cosa vale per la lingua friulana, che è fatta di senso e di suono, di una potenzialità espressiva maggiore proprio perché lingua arcaica permeata di mistero intraducibile. Ciò permette un processo espressivo più autentico, distante dalla lingua ufficiale perche mantiene un’innocenza, una verginità di fatto intraducibile sia per mancanza di un corrispettivo italiano che per il valore onomatopeico del suono originario, immediato, arcaico, “regressivo”, primitivo potremmo dire. Sostanza, questa, comune a quella della musica, che è fatta di suoni, di melodie, di ritmi e di armonie. Per quanto riguarda il rapporto tra Stefano e il Friuli, si ricordi il doppio album titolato Re: Pasolini, uscito nel 2007 per ECM, cosa che, tra le altre, gli ha consentito di entrare in relazione con la lingua friulana già molti anni fa. Di questa Stefano adora la potenzialità nella musica: non comprendendola appieno, risulta alquanto potente per il suo valore meta linguistico e mantiene salva quindi, la zona del mistero. È stato dunque spontaneo ritrovarsi complici e in piena condivisione nella scelta dell’ambito di ricerca e di lavoro: entrambi amiamo la poesia, entrambi la potenza di una lingua così bella e a-tempore, entrambi condividiamo una certa estetica nella musica.
Ho ascoltato di recente un bellissimo audio-documentario su Radio 3 sulla questione della lingua in Friuli. Tu da dove vieni, che lingue si parlano nella tua zona?
Sono sempre vissuta, fino a qualche anno fa, a Tolmezzo in Carnia. Quello rimane il luogo del cuore, quello della mia infanzia e giovinezza, il paese di mia madre e dei nonni materni, della mia prima formazione scolastica e il luogo dove ancora risiedono amicizie indissolubili. È una terra semplice, ruspante e genuina proprio come la sua gente, dove si possono contemplare paesaggi meravigliosi trattandosi di zona di montagna. E c’è proprio una montagna, l’Amariana, che svetta di fronte alla casa dove sono cresciuta, che rappresenta per me un simbolo, una sorte di totem. Ora vivo in campagna, a Mereto di Tomba, in una bellissima dimora storica del Friuli del Settecnto, immersa in un parco, luogo ideale per la concentrazione e l’assorbimento nella vita musicale. In Friuli, limitatamente alla mia zona, si parlano diversi varianti del Friulano, come se il Friulano fosse una lingua e le varianti i suoi dialetti. Allargando poi la visuale anche ad altre zone, si possono rintracciare parlate afferenti allo Slavo e al Tedesco, essendo questa terra zona di confine e in passato crocevia di diverse popolazioni, oltre che tutt’oggi sede di diverse minoranze linguistiche.
Qual è il tuo primo ricordo musicale? Come hai iniziato a cantare?
I ricordi di “me bambina” sono associati a quelli di una “me canterina”, non riesco a scindere le due immagini perché il canto ha sempre rappresentato la maniera più gioiosa e spontanea di esprimermi ed è sempre stato urgente il farlo. Abitando in un centro che non offriva grandi possibilità per coltivare questa natura e, in più, geograficamente distante dalle città che offrivano maggiori possibilità di studio, ho sempre dovuto mettermi in viaggio, aspetto che assume anche una valenza metaforica e che è condizione esistenziale anche in questa fase della mia vita adulta. I primi passi li ho mossi nel mio paesello e sono due, in particolare, le situazioni a cui sono molto legata affettivamente e cioè il coro della piccola parrocchia che mi ha accolto nonostante fossi davvero piccina e la figura di un salesiano che, nonostante i modi non sempre dolci, mi insegnò a strimpellare la chitarra e un repertorio vastissimo di canzoni italiane (anche vecchissime!) che, nonostante i tanti studi accademici successivi, mi rendo conto essere costitutive di buona parte della “base” che mi lega a un certo tipo di tradizione.
Primo ed ultimo disco comprato?
Ultimo disco: Meredith Monk, On Behalf Of Nature, ma se consideriamo anche gli ascolti dell’ultimo periodo, ti direi Trio Mediaeval, Valentin Silvestrov, David Lang.
Primo disco… musicassetta va bene? Credo fosse The John Lennon Collection.
E poi: voci che hai come punto di riferimento?
Adoro quegli artisti della vocalità che hanno osato, sperimentato, perseguito un’urgenza espressiva spesso valicando i cliché, magari sdoganando il canto dal suo esser a servizio della parola, ma conferendogli valore soprattutto perché veicolo di suoni. La voce al di là della parola, con la parola, oltre la parola, slegata dal valore semantico della parola, ricca di senso perché suono, portatore di significato solo per il fatto di esser tale. È una visione primitiva e primordiale della vocalità e forse per questa ragione universale. Tra questi cito Demetrio Stratos e Meredith Monk, sperimentatori vocali che hanno operato contemporaneamente in aree geografiche distantissime. Della Monk adoro anche l’ambito compositivo sovente minimale, ma al contempo ardito, che si avvale spesso del canto a più voci, disegnando partiture camaleontiche dalle quali emerge l’inaspettato, anche all’interno di forme mantriche e dilatate. Trovo inoltre estremamente comunicativa la vocalità della cantante greca Savina Yannatou, sia per il suo timbro avvolgente e lirico che per le scelte artistiche legate alle musiche del Mediterraneo. Mi piace Maria João per l’energia travolgente e la vocalità giocosa. Tra quelle più vicine alla mia generazione mi piacciono molto Shara Worden e Camille, entrambe fini compositrici oltre che cantanti sublimi, anch’esse a loro volta sperimentatrici. Tra gli uomini mi piace la vocalità angelica di Theo Bleckmann, poi Bobby Mc Ferrin perché ha un carisma palpabile oltre che ad essere unico nel suo esser voce.
Suoni anche qualche strumento? E, se non, che strumento vorresti suonare, e perché?
Suono la voce, lo strumento più intimo e bello! Più che uno strumento altro dalla voce, mi piacerebbe moltissimo dedicarmi all’espressività del corpo attraverso la danza. Trovo che voce e corpo siano intimamente connessi: se uno soffre, l’altra soffre, se uno gioisce, l’altra gioisce e che certe gestualità del corpo siano commoventi per la loro bellezza, così forti e ancestrali da un lato, lievi ed eteree dall’altro. Carnalità e spiritualità. Terra e cielo. Grido e soffio. Più si vibra col corpo e più la voce vibra nel corpo e, mediante lui, fuori di lui. Ma al tempo stesso, la voce ha il potere di vivificare certe zone assopite.
Visto che Sfueâi è incentrato sulla poesia, mi dici qualche verso tra quelli che canti lì a cui sei particolarmente legata?
torne cajù tra nò, Signôr, torne, tu sês perdonât…
(torna quaggiù tra noi, Signore, torna, sei perdonato…)
È l’ultimo verso della lirica “Prejere” (Preghiera) di Amedeo Giacomini, da cui emerge tutta la rabbia dell’uomo che non si risparmia nello sdegno e nelle accuse verso un dio “terribile” per tutto il male che ha inferto ai suoi figli e alla terra (in questo caso espliciti sono i richiami al Friuli). L’epilogo è a mio avviso potentissimo: il disprezzo si scioglie nel perdono. L’uomo perdona Dio e, facendo ciò, compie l’atto di amore più grande (per-dono). Un finale “colpo di scena” che mette in luce come anche la bestemmia sia, in fondo, un modo per affermare l’esistenza di ciò che si maledice divenendo paradossalmente un gesto estremo di amore. Wow!
E a chi volesse prendere confidenza con l’universo della poesia friulana da dove consiglieresti di cominciare?
Direi di cominciare da Pierluigi Cappello, che è il poeta i cui versi mi stanno accompagnando in questo periodo di immersione nella musica dell’album di prossima uscita. Ha lasciato questo mondo poco più di due anni fa e la sua produzione in versi è sia in Friulano che in Italiano. Un prato in pendio è l’ultima raccolta, edita da Rizzoli e facilmente reperibile. Sguardo delicato, ma acuto, conoscitore dell’arte della parola, sperimentatore, amante della bellezza della parola, ha saputo raggiungere delle vette altissime. Anche la raccolta dedicata ai bambini, Ogni goccia balla il tango, non scade mai in semplificazioni, ma si rivela a tratti stupefacente, nonostante il pubblico a cui si rivolge (che sappiamo possedere uno sguardo più libero e in grado di cogliere sfumature che gli adulti si scordano…). Consiglio anche la lettura in prosa di Questa libertà (Rizzoli), che è la sua autobiografia.