Apollo Soundtrack, 18/7/2019
Matera, Cava del Sole.
Era il 1983 quando Brian Eno, affiancato dal fratello Roger e dal produttore e musicista canadese Daniel Lanois, dava alle stampe il suo nono album in studio, Apollo: Atmospheres And Soundtracks. Oggi quell’album è una performance, un’opera d’arte totale che per la prima volta varca i confini inglesi. Lo scorso 18 luglio, infatti, “Apollo: Atmospheres and Soundtracks”, con il nome di “Apollo Soundtrack”, ha fatto scalo a Matera nell’ambito degli appuntamenti di Matera 2019, presso la suggestiva Cava del Sole. Nell’anno del cinquantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna, avvenuto il 20 luglio del 1969, Matera ha ricordato l’evento e omaggiato Rocco Petrone, l’ingegnere di origini lucane a capo della missione NASA.
Celebrare lo sbarco sulla Luna con una performance? Fatto. Trasporre la profondità della visione che un viaggio nello spazio può provocare? Certo non possiamo asserire che sia stato fatto, ma si è trattato comunque di una messa in opera che, sfruttando a piene mani la forza sinestetica dei linguaggi artistici, ha aperto l’orizzonte dell’ascolto e catapultato il fruitore in una terra di mezzo che abbatteva i confini e sembrava, in effetti, offrire al pubblico la sensazione di essere senza peso, conquistando la luna dei sensi.
La serata è stata aperta dalla musica di Gyða Valtýsdóttir, violoncellista islandese che nel 2013 è tornata a far parte dei múm dopo aver contribuito alla nascita della band alla fine degli anni Novanta. Tre brani, quelli eseguiti dalla Valtýsdóttir, rispettivamente intitolati “Rock” (musica e testi: Gyða Valtýsdóttir), “Nothing More” (musica e testi: Gyða Valtýsdóttir), “Imago” (musica e testi: Gyða Valtýsdóttir e Julian Sartorius), che hanno dato il la alla serata, affrontando appunto il tema del viaggio, tessendone le trame nella dimensione immersiva di installazioni video che dominavano la natura quasi lunare di Cava del Sole. Tutto lo spessore delle sperimentazioni islandesi degli ultimi anni, dei luoghi e tempi della formazione della musicista, fa capolino durante i tre brani, ma a tratti la voce quasi sibilata, alla quale i múm ci hanno abituato, lascia il posto a qualcosa di più corposo, che tiene bene la scena assieme al violoncello di una Gyða Valtýsdóttir ormai più che padrona di generi quali musica classica e contemporanea.
A seguire, gli inglesi Icebreaker – un ensemble composto da dodici musicisti – hanno proposto brani di Anna Meredith (“Nautilus”, “Orlock”, “The Vapours”), Gavin Bryars (“The Achangel Trip”), Jlin (“Black Origami”) e Michael Gordon (“Trance”). Proprio “Nautilus” di Anna Meredith, nell’esecuzione degli Icebreaker, con il suo ritmo incalzante eppure sospeso, nell’insistenza dell’incipit cadenzato, ha reso bene l’idea dell’uomo che compie i primi passi sulla Luna, saltellando a diversa gravità. La frenesia di “Orlok”, invece, è sembrata composta per raccontare l’ansia della ricerca di chi, giunto in un luogo nuovo, volge lo sguardo in ogni direzione, di continuo, nutrendosi di meraviglia, e ha costruito, con le immagini delle proiezioni, la base dell’avventura per chi, seduto ad ascoltare/osservare, subiva l’esperienza dell’essere cullato inerme nell’universo sconfinato.
Se il nome “Apollo Soundtrack” pone l’accento sull’aspetto sonoro, la realtà dell’esperienza è quasi più prossima a quella cinematografica, nella misura in cui il filosofo e critico cinematografico francese Jean-Louis Baudry collegava il cinema alle teorie psicoanalitiche di Jacques Lacan, spiegando come l’insistenza dei dati “sonori” e “visivi”, unita alla natura immersiva della postura (seduti, attenti, abbandonati, nel buio, al flusso dei suoni e delle immagini), portasse l’uomo a vivere quello che chiamava “effetto-soggetto”. Ma di quale “soggetto” parlava Baudry? Un soggetto primordiale, intrauterino, abbandonato ai suoni materni, cullato nello spazio siderale del mare amniotico. Il mare amniotico come lo spazio siderale? Una cava come un cratere lunare? L’Apollo Soundtrack come un atto fondativo? La terza parte ha messo il punto alle risposte che le prime due avevano già avviato per queste domande. Gli Icebreaker sono tornati di nuovo in scena, questa volta affiancati da Roger Eno e Brian John Cole per le musiche di Brian e Roger Eno, Daniel Lanois e l’arrangiamento di WooJun Lee. Sullo sfondo, l’esperienza pionieristica di Brian Eno, la memoria di album come Ambient 1: Music For Airports e Ambient 4: On Land. Dagli effetti spiazzanti di opere come Taking Tiger Mountain alla dimensione corposa, perché spaziale, delle successive soluzioni ambient che traghettano il lavoro di Eno direttamente sull’Apollo, che, da colonna sonora per il documentario di Al Reinert agli inizi degli anni Ottanta, diventa opera totale dove immagine e suono si fondono e invadono l’ambiente circostante, avvolgendo il pubblico. La cultura pop, o popolare per altro verso, entra ed esce dal percorso di Eno, diventando ora citazione, ora strumento atto a disinnescare la trama stessa del suo operato. È questo il caso della musica country, ad esempio nell’Apollo Soundtrack, o dei riferimenti orientali negli album pre-ambient. Dunque da questo punto di vista la performance non fa eccezione e conferma tutto il percorso del “non-musicista” che ha cambiato il volto della musica per sempre.