AORATOS, Gods Without Name
Nel 2019 c’è un tizio che sui suoi dischi si firma Naas Alcameth. Io non dico niente, perché a tutt’oggi sono fan di uomini adulti che si fanno chiamare Ihsahn o Abbath, e va bene così. Naas Alcameth è il classico blackmetallaro che ha una valanga di progetti e sotto-progetti (Nightbringer, Bestia Arcana…): uno di questi è Aoratos. Gods Without Name, pubblicato da Debemur Morti, ha un sacco di aspetti positivi, anzitutto dei riff di chitarra come si deve: freddi e affilati come il genere richiede, potenti quanto basta per far felici (si fa per dire) tutti, anche per via della spinta di un batterista disumano (a un certo punto avrei detto una drum machine, ma pare di no) e di una voce indemoniata à la primi Emperor. Gli Emperor tornano (derubati delle loro tastiere di In The Nightside Eclipse in “Thresher”) assieme ai loro fratelli alieni Darkspace nel momento in cui si passa alle atmosfere, l’altro grande pregio del disco: lo migliorano, lo rendono soprannaturale e per brevi momenti solenne, ma non si sfocia mai nella colonna sonora tipo videogioco del “Signore degli Anelli”. Non è un equilibrio facile da raggiungere, perché ormai è un attimo diventare i Dimmu Borgir, specie con le possibilità che dà oggi il digitale: gli obbiettivi principali di Gods Without Name sono e restano sempre fare del male, far paura e permettere la famosissima catarsi dopo una giornata orrenda. Promosso senza pensarci troppo, e io odio le one man band…