ANTOINE CHESSEX / FRANCISCO MEIRINO / JÉRÔME NOETINGER, Maiandros

Maiandros è la testimonianza, raffinata e distillata a posteriori, dell’incontro fra tre grandi personalità del panorama impro-noise europeo. L’architrave del trio, anche dal punto di vista post-produttivo e squisitamente tecnico, è Francisco Meirino, musicista, sound designer, “pensatore” elettroacustico di origini svizzere. Accanto a lui troviamo Jérôme Noetinger, sciamano francese del nastro magnetico, attivo da decenni e promulgatore di un certo utilizzo obliquo del registratore a bobine Revox (utilizzo condiviso da Valerio Tricoli, Sec_ ed altri) e Antoine Chessex, artista poliedrico, anche lui svizzero, che si muove al confine fra noise, destrutturazione, drone, sound art e politica del suono, qui in veste di sassofonista “esteso”.

Il disco è composto da due parti ben distinte, sia fisicamente che esteticamente, e deriva, come già accennato, da materiale sonoro grezzo ricavato da un live tenutosi ad ottobre 2020 al cave12 (luogo fisico ed etichetta discografica) di Ginevra. “Cocyte & Phlegethon” è un amalgama raffinato di diversi contributi sonori, spesso difficili da attribuire a un protagonista piuttosto che all’altro. I paesaggi pulsanti dei sintetizzatori si mischiano con le voci lontane di un quadro urbano, per poi rarefarsi e cedere il posto a leggeri vocalizzi percussivi del sassofono. È in questo costante mutamento che emerge, da un lato, la competenza tecnica ed estetica di Meirino, saggio compositore in grado di esaltare determinati passaggi, specifiche frequenze, dall’altro il fantasma dell’epifania dell’improvvisazione, intangibile, irraggiungibile come ascoltatori postumi, ma di sicuro presente. È questo un punto cruciale che Maiandros ci permette di approfondire: la radicalità dell’atto improvvisato è tale nel momento in cui viene vissuto sincronicamente. Quando l’ascolto è asincrono, dilatato nel tempo, magari frammentato in più momenti, la comunione del rituale si dissolve per lasciare il posto all’abilità comunicativa del medium, del testimone. Inutile dire come entrambi i lati di quest’opera risultino efficaci nel restituirci un’istantanea di un momento (forse) non vissuto.

“Tunnel”, lato B del disco, estremizza tutta questa dinamica, catapultandoci con violenza nel muro sonoro evocato al cave12. Le fini scelte estetiche del lato A vengono brutalmente annichilite. C’è posto solo per un feedback acido, voci che diventano grida di sassofono, nastri strappati e torturati, vibrazioni telluriche ai limiti dell’udibile. Da ascoltare ad un volume consono per magnificare l’esperienza.

Non stupisce infine la scelta del nome: Maiandros è la divinità greca regolatrice dei fiumi, del flusso e, perché no, anche di quello “stream” tanto cercato da chi si getta nell’eterno presente dell’improvvisazione, dove niente è statico, tutto in un perenne bilico oltre la portata del linguaggio e della logica.

È innegabile che la narrazione così destrutturata di questi quaranta minuti di suono possa risultare ostica o spiazzante. Quando però l’orecchio supera la necessità della sintesi, della classificazione, ed abbraccia il quadro complessivo, è lì che emerge l’urgenza dell’atto, così pervasiva, così totalizzante.