ANNA CARAGNANO & DONATO DOZZY, Sintetizzatrice
L’alternativa tra magia e razionalità è uno dei grandi temi che hanno originato la civiltà moderna. Anna Caragnano incontra Donato Dozzy ed è pura fascinazione, o “affascino” per dirla ancora con Ernesto De Martino. In Sintetizzatrice (lavoro che può fare il paio con quello di Stetson-Neufeld) ci sono solo la voce e le “parole ritmiche” di Anna, filtrate dal cervello e dalle macchine di Donato. L’idea di questo esperimento è nata in un periodo nel quale la mia ricerca sulla musica progressive italiana degli anni Settanta si è fatta più intensa e profonda, racconta lei in un’ intervista a proposito di questo lavoro più che italiano nella sua matrice “folk”, ma uscito sulla prestigiosa Spectrum Spools, prodotto a Roma, ma anche a Berlino (per certi versi mi ha ricordato anche l’inspiegabile ed inafferrabile “Lord Krishna Von Goloka” a nome Sergius Golowin, però trasferito in un indefinito “Sud”).
Niente più di questi suoni profondi ha saputo evocare in me suggestioni di antiche culture rurali, legate ai rituali delle stagioni ma riviste come in un sogno, dove i dettagli non sono nitidi e le dissolvenze di luce sono lunghissime. Ciò accade grazie allo sciamanesimo elettronico messo in piedi da Dozzy (vero nome Donato Scaramuzzi), sound artist raffinato, amante tanto della techno quanto del kraut lisergico (date un’occhiata alla sua discografia, tanto per capire) e poi pugliese come Anna. In Sintetizzatrice si riesce ad unire Demetrio Stratos, Florian Fricke (e pure Delia Derbyshire, in “Love Without A Sound”) sotto il segno del tarantismo e della possessione. Continua Anna: […] il potere della parola anche nel parlato è duplice: evoca e significa, quindi poi abbiamo trovato le parole che evocassero comunque un’immagine“. Perciò è difficile raccontare di singole “canzoni”, perché in fondo c’è solo la voce – processata da un muro di filtri elettronici – che diventa, appunto, parola e poi carne, racconto e vivida presenza.
Consiglio di fare presto questo incontro misterioso per stordirvi, liberarvi dal malocchio, o semplicemente godere dell’immaginazione a briglia sciolta di due bravi musicisti italiani, che sanno rileggere il folklore senza farne omogeneizzata world music o impegolarsi in pericolosi imbuti avantgarde, rendendo piacevole l’ascolto pur senza mai abbassare la soglia del mistero.