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ANGUISH, S/t

ANGUISH, S/t

C’è una bruma di malinconia industriale – visioni sfocate e spietate come un Blade Runner in vhs – in “Vibrations”, la traccia che apre questo disco, nuovo capitolo della collaborazione tra Dälek (da poco è scomparso Still, il loro dj del periodo 2002-2005) e Faust (data 2004 Derbe Respect, Alder), con l’aggiunta a questo giro di una falange svedese composta da Mats Gustafsson (c’è ancora bisogno di presentarlo?), dal batterista Andreas Werliin (Fire! Orchestra, Wildbirds & Peacedrums) e dal redivivo chitarrista Mike Mare, ovvero Mike Manteca (Destructo Swarmbots). Una bruma che fa presagire tuffi al cuore, con un drone sottile e ambiguo come un’ombra dietro un vetro in un giorno di pioggia cocciuta, o una preghiera sussurrata in una lingua ignota, a promettere miracoli. Quel veleno jazz noir entra sottopelle e non lascia scampo, andrebbe fatto ascoltare all’uscita delle fabbriche, ai semafori, quattro minuti di blues dell’Antropocene che aprono scenari. E poi? Poi la cosa si fa più fisica (“Cyclical/Physical”), un beat dub antrace trafitto da stridori di lamiere, e a regnare, sopra, il rap scuro di Will Brooks: come una versione incattivita dei Public Enemy in fissa con l’avant invece che con il funk. Hans Joachim Irmler, l’eroe faustiano, si occupa dei synth, mai accomodanti o mero fondale, semmai spina dorsale, strada maestra e deviazione al tempo stesso. Un mood scuro, raccolto, la stessa lentezza catatonica, lo stesso groove languido e profondo di Bohren Und Der Club Of Gore, di cui sembrano una versione hip hop in “Anguish”, anche se il pezzo resta abbastanza interlocutorio, con un Gustafsson che si limita a fare il compitino al sax tenore. Più robusta la struttura di “Gut Feeling” che però si lascia ascoltare e dimenticare appena sfuma sul respiro dei fiati: nulla più di un esercizio riempitivo. Maggiormente interessanti e a fuoco le astrazioni di “Brushes For Leah”, traccia interamente strumentale, tre note sdentate di pianoforte, uno shuffle incalzante e vaghissimi profili ambient un passo più indietro, a indicare orme. Orme che seguiamo rapiti in “Healer’s Lament”, con un testo tratto dall’opera del poeta di Los Angeles Kamau Daàood: uno spoken word elegiaco sul bordo del silenzio, la batteria lieve come un cuore che batte dentro una stanza, immagini di cocciuta solitudine urbana… quando la parola si fa musica e ritmo non serve molto altro: ce lo ricordano il magistero di Amiri Baraka (indimenticabili i suoi live con la band di William Parker, indimenticabile il dialogo che ebbi la fortuna di avere con lui, e la dedica che mi fece su un cd: “The struggle continues!”) e oggi di voci profonde ed incisive come Moor Mother (da avere il suo Fetish Bones, così come disco d’esordio degli Irreversible Entanglements) o Saul Williams. Non capiamo tutto il testo, ma è come se lo avessimo capito tutto. Un pezzo magnifico, al netto di una coda prescindibile. “DEW” tenta un clash tra memorie di jazz (un loop di contrabbasso) e colate di lava avant-rock, ma si perde senza costrutto, con Gustafsson a fare inutile confusione; “A Maze Of Decay” non parte mai e non si capisce perché, resta bloccata su un segnale morse che all’inizio colpisce e poi annoia e basta. Si chiude con “Wümme” (proprio il nome della città tedesca dove Faust si formarono nel 1971), cavalcata kraut attraversata da lampi, tuoni e saette, statica ed estatica, orizzontale e mentale, che si fa meno prevedibile fortunatamente quando muta in un noise-rap malmostoso e pieno di ruggine, a sigillare un disco che poteva essere un capolavoro se tutti i pezzi fossero stati al livello della prima e della sesta traccia. Un po’ poco, così. Ad ogni modo, ce ne fossero di voci e teste come quella di Will Brooks, disposte a sporcarsi le mani con materiali così lontani dal loro mondo di appartenenza. La lista delle collaborazioni della posse di Newark (anche se della formazione originaria è rimasta solo la voce) negli anni (sono in giro dal 1998, con una pausa dal 2011 al 2015) è impressionante: Techno Animal, Kid 606, The Young Gods (da recuperare Griots & Gods, un live del 2007), Velma e Faust. A proposito, là fuori c’è qualcuno che segue l’hip hop sperimentale e ha voglia di collaborare con noi? Se così fosse, contattateci.