Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

ANDREA TAEGGI, Nattdett

Terribili se utilizzate al solo scopo di sostituire il batterista di turno, assolutamente magiche se manipolate al fine di creare texture e pattern ritmici alieni, le drum machine analogiche sono state all’origine della creazione di un sound altamente soggettivo ancora presente in moltissime produzioni: poco importa se a generarlo siano strumenti reali, virtuali o campionatori.

Per realizzare Nattgatt (album prodotto dall’indipendente e prestigiosa etichetta francese Hands In The Dark) Andrea Taeggi preferisce tornare alle origini, utilizzando antiche macchine analogiche e recuperando le atmosfere spionistiche del secolo scorso, al culmine della Guerra Fredda.

Fin dall’iniziale “Quetta” la situazione è tesa, la sottotrama dub ipnotica e viscerale, il groove è quello inconfondibile della scuola cosmica tedesca (anche se il buon Jarre avrebbe qualcosa da dire al riguardo, dal momento che le sue opere hanno contribuito alla massima diffusione di questo tipo di timbriche).

Tra sbuffi esausti di rumore bianco e grasse colate di delay a esasperare i ciclici scricchiolii sintetici si allunga soffocante “Neuroterus”. Altrove, come in “Planetesimals”, la ritmica minimale scandisce le movenze di un’attesa estenuante, fermi a scrutare i movimenti del nemico.

“Tripofobia”, cristallizzata in una stasi cardiaca continuamente interdetta da interruzioni e riavvii, è la classica traccia che pur non aggiungendo novità al lessico ormai ampiamente stabilizzato delle drum machine riesce a condensare ad arte tutto quell’immaginario timbrico. E non è poco.

Al riguardo c’è da dire che le drum machine possiedono una loro immediata riconoscibilità, pregio ma anche limite (o sfida?) per chi decide di esplorarle. Chi, ad esempio, ha messo le mani su una TR-808 sa perfettamente cosa intendo.

La conclusiva – tribale e allucinata – “The Midnight Patcher” chiude efficacemente un disco costruito con innegabile maestria e un po’ di furbizia, paradossalmente rassicurante per chi è cresciuto consumando i vinili di The Man Machine e Oxygene. Il problema, semmai, è nel vocabolario timbrico utilizzato, ormai ben spremuto.