ANDREA BELFI
Andrea Belfi, nato nel 1979 e ora di stanza a Berlino, è un batterista aumentato. Al pari di altri suoi colleghi di area “sperimentale”, ha infatti incorporato nel suo arsenale semplici oggetti, sintetizzatori e altro equipaggiamento per creare loop ed effetti. Non si spiegherebbe altrimenti un disco come Wege, davvero suggestivo, la cui genesi verrà raccontata fra poco, in sede d’intervista. Supereroi con superproblemi, superbatteristi con supergruppi, come quello da cui nasce l’idea di contattarlo: B/B/S/, che unisce lui, Aidan Baker (Nadja) ed Erik Skodvin (Svarte Greiner). Belfi, però, ha molte facce: noi abbiamo parlato di Hobocombo come della sua storica collaborazione con Coletti, dei Craxi come del nuovo disco di Carla Bozulich. Andrea è stato molto esauriente e gentile, credo che quest’intervista sia un possibile punto di partenza per scoprire chi, italiano, funziona bene anche fuori dall’Italia e dai soliti giri di vicendevoli pacche sulle spalle.
Ti ringrazio per aver accettato l’intervista. Come è andato il tour con Hobocombo? Prepari quello con Carla Bozulich? Sei più contento o più nervoso?
Andrea Belfi: Sono molto contento sia dei feedback che come Hobocombo stiamo ricevendo per il nostro ultimo album Moondog Mask, sia per i nostri live, sia dell’imminente tour con Carla e delle ottime recensioni per il suo nuovo album Boy. Sono felicissimo di poter proseguire il percorso musicale sia con Hobocombo, sia quello assieme a Carla, John (Eichenseer) e Adrian (Don the Tiger) nel prossimo tour di aprile/maggio. Tra l’altro, saremo in Italia a metà maggio (22 Foligno, 24 Torino, 25 Santarcangelo di Romagna).
Alcuni batteristi (Steven Hess, Martin Brandlmayr, ad esempio) usano nastri, sintetizzatori e altra strumentazione, non solo i cosiddetti “trigger”. Se ho capito bene, sei partito con la batteria. Mi piacerebbe scoprire come è nato il tuo interesse per gli altri tuoi “ferri del mestiere” (penso all’incredibile Wege).
I primi interessi verso una combinazione tra suono acustico ed elettronico vengono dalla scena di Chicago degli anni Novanta, in particolare dai Gastr Del Sol.
Ho iniziato a lavorare con l’elettronica intorno al 2000-2001, paradossalmente gli anni in cui mi sono dedicato di più allo studio della batteria. Ho cominciato a espandere il mio vocabolario strumentale e sonoro a causa di una necessità di aumentare il numero delle mie possibilità timbriche e compositive.
Mentre poi studiavo all’Accademia di Brera a Milano (tra il 1998 e il 2001) ho avuto modo di conoscere le produzioni di Giuseppe Ielasi e della sua Fringes Recordings, Renato Rinaldi e Alessandro Bosetti e le loro produzioni legate sempre a Fringes Recordings. Da lì in poi è nato il mio interesse verso tutto quel sottosuolo di musica, musicisti e strumenti “altri”, che mi ha portato a essere a mia volta il musicista che sono oggi. Ricordo molto bene i primi dischi che mi hanno veramente influenzato in quel periodo: The Radio di Steve Roden, il primo disco di Kevin Drumm, Schnee del duo Stangl/Kurzmann e Haunted House (entrambi su Erstwhile), le ristampe di Terry Riley su Organ Of Corti, All Cracked Medias di Dean Roberts, e molti altri…
Il mio set solista si è sviluppato in maniera molto naturale: ho iniziato nel 2001 con uno basato solo su dispositivi elettroacustici (synth, loop station, microfoni a contatto e oggetti), che si è poi sviluppato nel 2005-2006 integrando nuovamente la batteria, dei piccoli altoparlanti e un uso più importante e approfondito del sintetizzatore Nord Modular.
WEGE è stato composto partendo da un dispositivo elettroacustico, basato su due feedback ottenuti da due piccoli speakers sospesi su rullante e timpano e da due microfoni a contatto attaccati alla parte inferiore di ognuno di questi due tamburi. Questo sta a significare nei miei dischi la composizione musicale e la tipologia dello strumento utilizzato sono connessi in maniera indissolubile; il titolo del mio disco solista su Die Schachtel del 2007-2008, KNOTS, “nodi”, descrive esattamente questo legame.
Ogni recensore della nostra webzine ha una sua specializzazione. Ci sono pochi artisti trasversali, quelli i cui dischi passano per mani diverse. Craxi, Hobocombo, Rosolina Mar, la vecchia collaborazione con Coletti e altre tue cose non le ha recensite una sola persona, da noi. Ti ritieni un eclettico? Siamo noi troppo chiusi?
Mi ritengo semplicemente un musicista capace (e felice) di poter lavorare con diversi linguaggi. Non mi sembra ci siano giornalisti musicali particolarmente preoccupati di affrontare l’ecclettismo di musicisti quali Richard Youngs, Jim O’Rourke, John Zorn e Keiji Haino, per esempio. È solo una questione di credibilità e tempo fare sì che si crei una certa continuità nelle orecchie degli ascoltatori, dato che in fondo il legame tra tutte le produzioni in cui sono coinvolto esiste.
La scoperta del punk (direi soprattutto quello americano), mio primo legame con le musiche “altre” e il Do It Yourself, è stata un’ottima scuola, basata non tanto sul genere musicale, ma sull’approccio nel fare le cose.
Da fuori, il fascino di Berlino sta anche nel suo essere uno dei posti dove si possono incontrare tre nazioni e due continenti. Non è tuo compito scrivere la vostra biografia, ma ti chiederei il favore di raccontarci quale è stata la scintilla che ha dato il via alla collaborazione tra te, Aidan Baker ed Erik Skodvin.
Conoscevo Aidan da un suo vecchio lavoro su S’agita Recordings e Erik da amici in comune e dalla sua etichetta Miasmah. Due anni fa Erik e Aidan, che già avevano avuto modo di collaborare assieme, mi hanno invitato a fare delle prove in trio, e poco dopo a suonare al West Germany qui a Berlino, sempre in trio. La collaborazione è nata semplicemente in questo modo, cioè dalla stima reciproca verso i rispettivi linguaggi e dall’interesse a confrontarci su un materiale musicale che nessuno di noi tre aveva provato ad affrontare prima. La conferma della validità del progetto si è però avuta durante il nostro primo concerto, che è ha creato motivazioni e aspettativa per un successivo sviluppo del trio.
“The group makes largely improvisational music”, dice il sito Miasmah. Di sicuro c’è un’identità, che non è la giustapposizione dei tre, ma una combinazione dei tre. Cosa vi dite prima di suonare?
Prima di un concerto decidiamo solamente chi inizia e quale suono verrà prodotto durante i primi istanti, il resto della musica viene poi costruito in tempo reale. Conosciamo poi abbastanza bene i nostri rispettivi suoni e le nostre soluzioni musicali per poter prendere delle decisioni, anche drastiche, durante il concerto.
Come mai avete deciso di pubblicare – come terza cosa a nome B/B/S/ – quanto fatto alla Christuskirche Bochum? Sembra un posto incredibile dove esibirsi…
Questa chiesa di Bochum ha un suono molto particolare, dato che è uno spazio molto grande ma la sala non ha un riverbero “invadente”. In termini acustici è una chiesa interessante, ma l’elemento veramente speciale è l’atmosfera che si era creata quella sera, molto quieta e rilassata, ma allo stesso tempo ricca di energia, ed è stato quello a incidere maggiormente sul nostro modo di suonare. La spinta verso la pubblicazione del materiale live è venuta da Dimitri/Midira Records, che ha organizzato il concerto stesso e che è rimasto entusiasta della musica registrata. L’alta qualità delle registrazioni ci ha poi permesso di lavorare in maniera molto approfondita sul suono dell’album.
Sempre a proposito di Coltre/Manto, mi chiedevo chi avesse deciso per l’artwork così materico di Uwe Behrens…
Uwe è un amico di Aidan, che qualche mese fa ci aveva proposto di suonare nel suo studio di Carzig, a una manciata di chilometri dal confine polacco, per l’inaugurazione di una sua mostra (questo 5 aprile, dove tra l’altro presenteremo il nuovo lp). Abbiamo poi chiesto a Uwe di utilizzare una sua opera per la copertina di questo disco live proprio per via di un reciproco interesse artistico/musicale. Anche in questo caso la collaborazione è stata naturale, l’immagine scelta è veramente affascinante, e oltre a rappresentare in un certo senso la campagna tedesca (a mio parere quella del Brandeburgo), si sposa benissimo con la musica del disco. Successivamente Erik ha lavorato sull’aspetto grafico e sul nuovo simbolo di BBS. Adoro il lavoro grafico di Erik, che cura anche quello di tutte le altre uscite Miasmah.
Apprezzo molto, in B/B/S/, la tua capacità di contribuire ai frangenti più atmosferici, ma rimango davvero colpito dalla naturalezza delle tue parti più dinamiche, considerata l’essenza “ambient” della band. Hai difficoltà in questo senso? Ti aiuta il fatto che Baker si serva anche di un basso, oltre che della chitarra?
Aidan non usa il basso, ma amplifica la sua chitarra da un amplificatore per basso. Le due chitarre suonano prevalentemente drone, ma in realtà creano tessiture ritmiche notevoli, lavorano prevalentemente su cicli e hanno un forte carattere narrativo. Il mio contributo più rilevante nel trio è molto chiaro, creo cioè strutture solide su cui le chitarre riescono a fluire liberamente, creo un contesto, cornici di varie forme che si sviluppano nel tempo e su cui le due chitarre dipingono il disegno.
Sarà la presenza di Baker, ma per spiegare a me stesso i vostri dischi, ho dovuto metterli mentalmente a fianco di progetti come Æthenor, Ensemble Pearl, Gravetemple, Locrian, o magari Kwaidan e Zelienople. Non che ci sia una somiglianza forte, però è dal confronto che nasce la conoscenza. Voi dove vi vedete?
Il mese scorso abbiamo fatto sei concerti tra Germania Danimarca e Svezia. Abbiamo suonato in due squat, nella Jazzhouse di Copenhagen, in uno studio di registrazione per venti persone, in un centro di performing arts a Malmö e in un piccolo locale di Berlino dove si suona dalla sperimentazione radicale al songwriting più convenzionale. In tutti questi contesti ci siamo trovati a nostro agio, e in ognuno di questi posti abbiamo trovato persone interessate e attente. Forse potremmo cercare di identificare un tipo di ascoltatore per capire la nostra posizione in una scena musicale, più che nel metterci vicino ad altre band, ma anche qui rischieremmo di non centrare il bersaglio.
Penso che pubblicare il nostro primo lp nel 2013 nel catalogo Miasmah sia stata una buona idea, dato che sia la caratteristica “cinematica” delle sue uscite, sia la qualità e le capacità dei musicisti coinvolti possono dare un contesto adeguato per comprensione del nostro suono. Ritengo i B/B/S/ più vicini a Kreng e a Kaboom Karavan che a Æthenor. Però, allo stesso tempo, ci potrebbe essere una connessione per esempio anche con le produzioni di Oren Ambarchi.
Un artista con cui collabori di frequente è Stefano Pilia, che ho potuto apprezzare non solo nei Massimo Volume (che seguo pochissimo), ma anche negli In Zaire. Cosa, secondo te, vi lega? Cosa ci dobbiamo aspettare in futuro da voi, che siete in grado sempre di coinvolgere nomi così significativi?
Io e Stefano ci siamo conosciuti al festival di musica elettroacustica Superfici Sonore nel 2003 a Firenze, dove abbiamo suonato assieme per la prima volta. Per cui prima di tutto quello che ci lega è la condivisione di un importante periodo di formazione e produzione musicale. Da quel momento in poi abbiamo collaborato in molti diversi progetti a cavallo tra improvvisazione, musica sperimentale e “rock”, tra cui Medves (con Giuseppe Ielasi, Renato Rinaldi, Riccardo Wanke), il trio con David Grubbs, il trio con Mike Watt, e in diversi altri contesti.
Quello che lega me e Stefano è una comune sensibilità musicale, e una complementarità che, messa nel contesto giusto, diventa uno strumento potentissimo. Abbiamo sperimentato che la situazione dove io e lui lavoriamo meglio è laddove c’è un altro musicista oltre a noi due, e non abbiamo ancora capito il motivo perché fino ad ora abbiamo fatto solo un brano in duo (“Cuora Yuannanenis” sulla compilation Invisible Pyramid su Last Visible Dog nel 2005)!
Più in concreto, il disco Dust & Mirrors, secondo per il Belfi/Grubbs/Pilia trio (dopo Onrushing Cloud del 2010) è appena uscito su Blue Chopsticks, seguirà un tour in Inghilterra a Giugno. Il nuovo disco del Sogno Del Marinaio, con Mike Watt, è in fase di missaggio e sarà seguito da un lungo tour di due mesi degli Stati Uniti tra Settembre e Ottobre.