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…AND OCEANS, Cosmic World Mother

“C’era una volta il symphonic black metal…”

Sarebbe questo l’incipit di un ipotetico racconto basato sul genere che, fin dagli albori, ha diviso il pubblico della musica estrema (basti ricordare come i puristi del metallo oscuro accolsero l’introduzione di tastiere, synth e il concetto di cura del suono tout court). Il filone, in realtà, ha prodotto il materiale migliore in un lasso di tempo piuttosto breve, grosso modo identificabile col periodo di attività in studio degli Emperor, per poi esaurire le cartucce e lasciarsi trainare con alterne fortune da nomi come Dimmu Borgir e Cradle of Filth, mentre la scuola avant-garde si assumeva il compito di partorire roba interessante.

Un capitolo della narrazione potrebbe invece iniziare con “C’erano una volta gli …And Oceans” e l’atmosfera favolistica risulterebbe ancora più appropriata: l’avventura dei finlandesi, infatti, si perde nelle nebbie della storia (del black metal sinfonico almeno) e si snoda tra cambi di nome e genere musicale, rivoluzioni di organico e lunghi periodi di silenzio. Insomma, ritrovarsi tra le mani un loro album nel 2020 (in piena pandemia!) ha un che di magico e, visti i trascorsi turbolenti, pochi avrebbero scommesso su un lavoro in grado di stupire.

Cosmic World Mother segna un prepotente ritorno sulle scene di questo gruppo non molto conosciuto, ma dai promettenti esordi (The Dynamic Gallery of Thoughts del 1998, seguito l’anno successivo da The Symmetry of I, the Circle of O). L’avvento del nuovo millennio li aveva visti passare all’industrial metal, scelta sottolineata dal successivo cambio di nome in Havoc Unit, il cui ultimo disco è uscito nel 2008. Dopo dodici anni, e – mi piace pensarlo – una lunga e fruttuosa terapia psicologica per limare la sindrome bipolare, la personalità a matrice symphonic black metal è tornata a reggere il timone della barca con sicurezza e rinnovato vigore.

L’introduttiva The Dissolution Of Mind And Matter” spazza via ogni passato turbamento della band e lo scetticismo dell’ascoltatore: il sound è maestoso e tagliente, spinto da violente ondate chitarristiche e blast beat tellurici di batteria, ma allo stesso tempo bilanciato e ragionato, ben lontano dal caos strisciante a cui si abbandonano altri artisti affini. No, questo disco è pervaso da quella sintesi perversa di malvagità ed eleganza che ha reso grandi Emperor, Arcturus e Mgła.

Le influenze industriali del periodo Havoc Unit, avvertibili qua e là (soprattutto nella title-track), sembrano essere state incasellate alla perfezione nel sound delle origini, donando così nuova linfa vitale alla creatività della band. Vale poi la pena menzionare lo stupendo lavoro delle tastiere di Antti Simonen, le cui linee risaltano in ogni brano e arricchiscono la già voluminosa impalcatura musicale, nonché la prova vocale del nuovo cantante Mathias Lillmåns, perfettamente integrato in un contesto molto diverso da quello del suo gruppo di origine (Finntroll).

E così, ascoltando i passaggi sognanti e, allo stesso tempo, schizofrenici di “Oscillator Epitaph” e le furibonde cavalcate di “As The After Becomes The Before” (il cui titolo sembra richiamare ironicamente il ritorno alle origini degli artisti), ci accorgiamo che gli eventi del fiabesco regno del symphonic black metal non hanno affatto perso la capacità di stupire, e che altre fantastiche avventure attendono in futuro i nostri eroi.