ANCIENT VVISDOM, Deathlike

Ancient VVisdom

Alcuni dischi devono essere assimilati pian piano, lasciati decantare affinché si possano carpire i loro segreti, altri se ne stanno lì come una donna nuda, distesi nella loro semplicità in completa bella vista, sussurrano parole ammalianti e si lasciano assaporare senza giocare a nascondino. Deathlike è uno di questi: coglie l’essenza del metal e la spoglia di ogni orpello, si accoccola accanto al fuoco e invita a sedersi al suo fianco, senza bisogno di porsi domande o cercare il bandolo della matassa. Al secondo colpo, gli Ancient VVisdom dei fratelli Jochum, già attivi nei seminali Integrity, perfezionano una formula al cui interno il metal fa a meno dell’elettricità e strizza l’occhio alla malinconia degli Alice In Chains, alla morbosità sensuale del primo Danzig e all’immaginario di formazioni quali gli Angel Witch, solo per restituirsi in forma di ballad tanto semplici quanto affascinanti, in grado di entrare sotto pelle sin dal primo ascolto. Se mai il termine ruffiano avrà un’accezione positiva, succederà con Deathlike. Il bello è che si potrebbe dissezionare, discernere, fare le pulci e storcere persino il naso, ma non avrebbe senso alcuno di fronte a un disco che conquista proprio per la sua apparente debolezza, per il suo palesarsi sin dal primo ascolto per com’è. Gli Ancient VVisdom compongono canzoni, nulla meno e nulla più, ma le compongono con un tocco che sa di dono naturale, con la capacità di prendere una melodia e costruirci intorno un intero racconto. C’è persino una traccia di pop, inteso come cultura popolare e come attitudine a colpire l’ascoltatore e prenderlo per la gola. Si badi, però, che non si tratta di un disco leggero o da prendere sotto gamba, perché qui c’è anche una profonda conoscenza della materia trattata, anzi è proprio questa che permette il compiersi della magia, il saper estrarre dalla tradizione metal il succo vitale per trasformarlo senza snaturarlo, ma solo sottometterlo alle vocals di Nathan Opposition, fulcro e motore di ogni singola traccia. Anche i testi concorrono con le tematiche oscure e sinistre al gioco di rimandi per donare un effetto agro-dolce al tutto, come quelle piante carnivore tanto colorate e appetibili, quanto micidiali una volta entrati nel loro raggio d’azione. “The Last Man On Earth” si spinge addirittura in territori bluesy che piacerebbero non poco ad Eerie Von, anzi, un tour in combutta potrebbe essere quanto mai intrigante e costituire un’atipica quadratura del cerchio. Il finale è tutto in crescendo e si lascia andare ai fuochi d’artificio con una doppietta in cui la temperatura si innalza per chiudere Deathlike con un KO da manuale. Lasciate accesa solo una luce fioca, sedetevi sulla poltrona con in mano un bicchiere del vostro alcolico preferito e premete il tasto play, tutto il resto è “chiacchiere e distintivo”.