ANCIENT CULT, Goddess Of Solitude
Gli Ancient Cult si materializzano nell’istante preciso in cui l’hard-rock si fa heavy e inizia la sua trasformazione in quella che in seguito sarà definita NWOBHM, un momento di transizione nel corso del quale la parte oscura del genere prende il sopravvento e s’ispessisce fino a diventare un linguaggio nuovo, ma che non ha ancora preso la sua forma definitiva. Sin dai suoni, passando per la voce e la stessa costruzione dei brani, senza tralasciare le atmosfere che fanno da cornice agli stessi, appare evidente come gli italianissimi e attualissimi membri di questa band vadano direttamente alle radici della musica dura, ma – a differenza di molti loro colleghi – decidano di non fermarsi appena sotto il livello del suolo e di scavare fino al seme da cui l’intera pianta è nata. Del resto, già il pulsare del basso appare come un chiaro indizio di quel tipo di approccio e dinamiche ormai perse nelle registrazioni moderne, in un tripudio di effluvi settantiani che si infiltrano e invadono ogni solco e ogni nota di queste quattro tracce (cinque, se si considera la cover che chiude l’ep). Mentre “Vagabonds Of The Ancient World” paga il dovuto pegno al sabba nero, “The Gathering” sembra addirittura riprendere nella sua parte centrale la gestazione della Vergine di Ferro, mentre la già menzionata cover finale tira le somme del tutto e chiude il cerchio, con una scelta che oggi ben pochi opererebbero nello svelare le proprie fonti di ispirazione. Nulla da eccepire, siamo di fronte a un vero e proprio atto d’amore, pura retromania all’ennesima potenza, eppure il tutto gira con tale disinvoltura che si finisce per cadere nella trappola temporale tessuta dagli Ancient Cult e si fatica a riconoscere il passato dal presente. Ciò che resta a fine corsa è la sensazione di aver a che fare con gente che ha saputo cogliere esattamente lo spirito di un periodo, ottenendo così quattro anthem che non sfigurerebbero su un vinile dell’epoca. Per veri intenditori.