Amplifest, 9-10/11/2024
Porto.
Penso che ogni appassionato di musica si meriti un festival ad hoc costruito intorno ai suoi gusti. In Italia purtroppo il concetto di festival è ancora fermo al 1965, ma nel mondo troviamo ogni possibile scelta. Esistono festival di ogni genere, grindcore, black metal, death metal, avant jazz, drone, noise in più giorni e adatti a soddisfare i palati più esigenti. Per i miei gusti le manifestazioni tematiche realmente imperdibili sono due: Roadburn ad aprile e Amplifest in autunno. Il primo si tiene in Olanda ed è praticamente la fiera di tutto ciò che è obbligatorio ascoltare in ambito pesante ma “alternativo” e il secondo si tiene in Portogallo ed è un po’ la versione ridotta ma più fruibile.
All’Amplifest i palchi sono due: Buro e Dois Corvos. Il primo ha una capienza di mille persone, il secondo circa la metà. Sono uno affianco all’altro e i concerti iniziano mezz’ora dopo la fine del precedente. Super, super relax. Non c’è ressa, il pubblico è educato, il palco ad una buona altezza e l’impianto audio devastante. Anche le luci non sono niente male. Un sogno? Sì. Mi spiace quasi parlarvene perché vorrei che rimanesse tutto così senza interferenze esterne.
Gli Insect Ark aprono le danze del festival alle 13:30 del 9 Novembre. Dana Schechter, artista newyorkese residente a Berlino, ha pubblicato con il suo progetto dischi stupendi purtroppo poco citati. Muovendosi in quella sotto nicchia di post-metal influenzata dagli Swans (nei quali lei ha militato) risulta forse troppo ostica e “artistoide” per chi cerca emozioni forti. Per me Raw Blood Singing è una delle vette del 2024 ed ero molto curioso di gustarmi la resa dal vivo. Con lei troviamo il batterista Tim Wyskida, una macchina disumana che ho avuto il piacere di godermi tempo fa anche con i Khanate, e il polistrumentista Lynn Wright alla chitarra e lap steel. La resa dal vivo è molto buona e purtroppo paga dazio il fatto che Dana non ha quel carisma e quella presenza da ammaliare il pubblico più generalista. Come antipasto, però, lascia soddisfatti e se questo è solo l’inizio, potete immaginarvi il dopo.
Avesso sono portoghesi e missà che qualcuno di loro l’ho già visto su questo palco nel 2023. Il loro sound però non mi prende particolarmente, sospeso a metà tra il post hardcore più crust e aperture emo post rock un po’ troppo leggerine. Sul palco hanno una bella resa, sebbene un po’ troppo enfatica.
Il live di Mizmor era uno dei più attesi, non solo perché ho avuto il piacere di intervistarlo. La sua discografia praticamente perfetta soddisfa in pieno i miei gusti da ascoltatore: doom lentissimo che si evolve in un black metal sparatissimo super malvagio. Aiutato da una band di amici (tra cui Andrew Bird), Mizmor non solo non delude le aspettative ma va ben oltre. Il set di circa 40/50 minuti vola in un attimo e ammetto che se avesse suonato 3 ore non mi avrebbe stancato per niente.
Cinder Well ammetto di conoscerla poco e me la sono tenuta per la prossima edizione del Roadburn, ma quel poco che ho ascoltato mi è sembrato ottimo: folk intimista molto delicato, suonato a cavallo tra Cat Power e Marissa Nadler.
Non mi sono piaciuti gli LLNN, provenienti dalla scuderia Pelagic. Non ho trovato grandi pregi nel loro sound industrial metal, tra l’altro suonato come se stesse uscendo l’apocalisse dalle casse. Urla fastidiose, riff monotoni e il classico incedere metronomico danno l’impressione che durante la lezione dei Godflesh non ascoltassero granché. O forse sono io troppo vecchio.
Mi hanno sorpreso positivamente i Russian Circles. Su disco non mi prendono: li trovo un ascolto adatto a batteristi e ad amanti dei pedalini per chitarra, ma devo ammettere che dopo i primi minuti di tapping sulla chitarra e batteria che deve suonare ogni pezzo ad ogni battuta i tre hanno iniziato a suonare anche dei riff e finalmente il senso della band è venuto fuori. Staticissimi e freddi, i punti simpatia li prendono per via della presenza del bassista Brian Cook che suonava nei Botch e ora è nei Sumac, che in effetti non c’entra una fava con loro e sembra che serva semplicemente per non far perdere gli altri due in infiniti virtuosismi.
Gli Ufomammut li ho visti forse 30 volte, un po’ per il fatto che quando suonavo negli Isaak ci mettevano spesso in cartellone insieme e un po’ perché sono fan dalla prima ora. Da qualche anno sono ringiovaniti con il cambio di batterista e sul palco si divertono come forse non è mai successo. È bello vedere degli amici che a centinaia di chilometri da casa vengono accolti con una standing ovation ripagando il pubblico con un concerto maiuscolo. Le visual sono la ciliegina sulla torta di un set perfetto in cui i tre macinano riff su riff senza pietà. Eccezionali. E, obiettivamente, con il miglior impianto audio da cui li ho ascoltati.
Il secondo giorno è un susseguirsi di emozioni gigantesche. Aprono la giornata i divertentissimi Inter Arma. Anche loro li ho visti al Roadburn di quest’anno e non vedevo l’ora di rigustarli. Nel mentre ho potuto ascoltare e amare il loro ultimo disco New Heaven, uno dei top di quest’anno, e farmi venire la voglia di gustarmi un gruppo che, pur facendo un genere “estremo”, riesce a proporlo in un modo nuovo. Immaginatevi di vedere una band southern rock alle prese con il death metal: eccovi serviti gli Inter Arma. Che ovviamente non fanno niente per nascondere la loro radice acid rock piazzando assoli e divagazioni stoner appena possibile. Il cantante è poi la vera chicca: trascinante, variegato e con un look che lo fa sembrare uscito da un concerto metal del 1989.
Il duo canadese Menace Ruine non suona dal vivo da una quindicina di anni e proprio per questo motivo sul palco sono agitati e un po’ casinisti. La loro formula è prendere o lasciare: drone elettronico mescolato con il folk da elfo dei boschi. Bravissimi, inquietanti il giusto e con quella dolce monotonia che conquista grazie alla ripetitività. Qualche bel drone smuove il torace e quindi direi che la missione si può dire riuscita. Ho come l’impressione che difficilmente li rivedremo dal vivo.
Spurv sono un gruppo nordico di post-rock alla Mono. Quindi chitarre mandolino, arpeggi, esplosioni e suoni orchestrali. Peccato che in vita mia, tra il ‘98 e il 2024, avrò ascoltato centinaia di band così e non mi danno più nessuna emozione. Immagino che un neofita del genere li possa trovare incredibili. Bravi ma con una presenza fisica non troppo adatta al genere e al contesto generale (leggi: sembravano più adatti ad una sagra di paese).
La sequenza di concerti che arriva ora è da ricordare per sempre. Tenetevi forte.
The Body e Dis Fig. Altro set che probabilmente non vedrò più in futuro. I The Body (in realtà mezzo The Body perché il batterista ha paura degli aerei e si sono presi un turnista) e la giovanissima Dis Fig, vagamente conosciuta in ambito elettronico, qui alle prese con urla e canti. Il loro disco Orchards Of A Futile Heaven è uno dei più belli di questa annata pesante e non vedevo l’ora di poterlo ascoltare a volumi esagerati. E qui volumi erano veramente esagerati! Non solo: Dis Fig, pur avendo un look carino e fragile, è una vera bomba. Si dimena, sfida il pubblico, lo incita e si sdraia per terra. Ma non è mai ridicola o esagerata, anzi. The Body ci mettono dei suoni violentissimi da motore d’aereo in avaria e direi che potete capire da soli che sia stato un concerto eccellente.
Però dopo è arrivata Chelsea Wolfe e ha mandato a casa tutti. Quando la vidi ad aprile al Roadburn rimasi soddisfatto a metà. Concerto ottimo ma mi aspettavo di più. Questi mesi di tour sono evidentemente serviti per carburare lei e la band, risolvere piccoli problemi tecnici e creare la giusta alchimia con il pubblico tramite balli, mosse, battute. Le luci stratosferiche già c’erano, così come la scaletta che spazia nel repertorio fra brani elettronici, acustici ed elettrici. Ci infila anche strofa e ritornello di “Zombie” dei Cranberries per uno dei tanti momenti lacrime. Sarebbe stato un concerto da 10 se non fosse che per il bis non torna da sola ma si fa accompagnare da Emma Ruth Rundle per cantare “Anhedonia”. Dopo questo è diventato uno dei miei concerti della vita.
Ancora in estasi mi godo gli Yoo Doo Right e il loro kraut stoner psichedelico che mi ha ricordato il caro vecchio Roadburn di tanti anni fa e il gran finale con gli Oranssi Pazuzu. Un po’ come tutte le band presenti al festival, li seguo fin dagli esordi e non mi hanno mai deluso. Era parecchio che non li vedevo dal vivo ed ero curioso di capire come avrebbero proposto l’incredibile Muuntautuja (anche lui tra i dischi del 2024: perdonatemi ma roba bella ne esce a vagonate) che vede svoltare la band dal kosmische black metal all’industrial psichedelico (sempre black metal). Loro sono inguardabili e infatti si piazzano due lucine micro e praticamente non si vedono. Però si sentono, eccome se si sentono. Il muro di suono sollevato è tale che mi è rimasto incastonato nel cervello e non vuole più andarsene. In una parola: oltre. Pesantissimi non solo nel suono ma anche nella proposta, unica non solo nel suo genere ma proprio nel mondo metal e rock. Se ci fosse meno snobismo contro certo metal Muuntautuja sarebbe nelle classifiche di fine anno di siti e riviste “rock”. Oranssi Pazuzu si confermano una delle band più avanti degli ultimi anni e una delle migliori del panorama estremo di sempre.
Aggiungo che il venerdì Amplifest ha organizzato tre concerti sparsi per la città di Porto, un po’ per accogliere, un po’ per distrarre e un po’ per intrattenere gli avventori del festival. Il primo si è tenuto nello splendido mercato di Bolhão con il post-rock ambientale dei Velho Homem. Bravi, non invasivi e decisamente adatti all’acustica della straordinaria location. Il secondo al museo d’arte moderna Serralves con l’esibizione della violoncellista sud coreana Okkyung Lee che ha proposto una performance molto fisica, con il violoncello suonato in ogni angolo della stanza. Infine l’esibizione dei John Cxnnor al Ferro Bar che purtroppo ho mancato per stanchezza.
Che dire di più? Se amate questi suoni l’Amplifest è un must. In Italia non c’è la possibilità di gustare queste band con volumi adatti, se non in rarissimi casi. La città è molto accogliente e la location anti-stanchezza. Trovate anche banchetti di dischi, merchandise, espositori d’arte e di pedali. Insomma due giorni di paradiso. Ci vediamo lì il prossimo anno!