Amorphis: è fatta, cazzo!
La scena metal finlandese offre una miriade di opzioni per quanto riguarda band valide e attive da parecchio tempo. Gli Amorphis rappresentano uno dei punti saldi, grazie a un sound riconoscibile e a un’estetica profondamente influenzata dall’eredità culturale locale, di cui si fanno portavoce sin dagli esordi. Abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere su Skype con Esa Holopainen, chitarrista solista e compositore degli Amorphis, a ridosso dell’uscita del loro quattordicesimo album in studio, Halo.
Innanzitutto voglio ringraziarti per il tuo tempo. Come va la vita con la band?
Esa Holopainen (chitarra): Va così così. Naturalmente siamo piuttosto eccitati per l’uscita del nuovo album degli Amorphis, Halo, tra circa un mese. Le restrizioni legate al Covid-19 hanno dato qualche difficoltà, ma siamo abbastanza ottimisti per il futuro anche se la situazione è piuttosto brutta al momento e ci sono molti casi di covid: non possiamo andare in tour e non si possono fare concerti, il futuro è imprevedibile ma cerchiamo di essere ottimisti e fare del nostro meglio, sperando che qualcosa migliori.
Sì, penso che siamo tutti sulla stessa barca in tal senso: non solo le band, ma anche tutti quelli che lavorano nell’industria degli eventi. Questa era in realtà la mia prossima domanda, proprio sulla mancanza di “vita da tour”: ha in qualche modo condizionato i vostri sentimenti verso il nuovo album, la promozione ed eventuale impatto sulla fanbase?
Sì, penso abbia avuto un impatto forte in ogni maniera possibile. Il nostro produttore, Jens (Bogren, che ha prodotto anche i due album precedenti, ndr), vive in Svezia ed è una persona molto esigente. Di solito andiamo a registrare nel suo studio e facciamo le cose in modo canonico, ma a causa delle restrizioni sui viaggi abbiamo dovuto improvvisare un po’, così abbiamo fatto le pre-produzioni qui in Finlandia. Abbiamo iniziato a registrare la batteria, le chitarre ritmiche e il basso qui e Jens si è occupato della produzione a distanza, e tutto il processo di registrazione è durato molto più a lungo rispetto a ciò che ci aspettavamo originariamente. Ci è voluto circa mezzo anno perché Halo prendesse forma. La promozione… sì, di solito qui in Finlandia i giornalisti vengono ad ascoltare il nuovo album prima che venga pubblicato. Non è stato possibile questa volta, così abbiamo fatto una sessione di ascolto su Zoom con vari giornalisti. Abbiamo ascoltato l’album tutti insieme e abbiamo risposto ad alcune domande. È andata bene, ma come immaginerai non è paragonabile a un contatto “in presenza”… Diciamo che ci sono state molte sfide.
Parlando della scrittura dei brani, la pandemia ha avuto un impatto anche su questo aspetto? Cioè, sul modo in cui “pensate” un brano ancora prima di crearlo e su come poi mettete insieme le vostre idee, nell’ottica di scrivere una canzone?
Uhm, ho notato che i ragazzi erano molto creativi in quel momento, così abbiamo poi passato in rassegna i brani. Avevamo le demo di quasi quaranta canzoni. Ognuno ha scritto qualcosa, e penso indichi che avevamo tutti molto tempo libero (ride, ndr). Sai, penso che scrivere musica sia un ottimo modo per fuggire dal mondo circostante, esattamente come ascoltarla. È il modo migliore in assoluto, ma non penso che si possa sentire l’effetto-pandemia nella nostra musica. Penso che sia un album perfettamente in “stile Amorphis”, ed è ciò che vogliamo fare: una fuga dalla realtà è l’effetto che vogliamo sortire.
Ho ascoltato l’album parecchie volte, e lo descriverei come un perfetto punto d’incontro tra “orecchiabile” ed “aggressivo”. Tu come lo descriveresti?
Beh… orecchiabile e aggressivo… è un album poliedrico, leggermente più pesante di Queen Of Time (l’album precedente, del 2018, ndr) secondo me. Sai, ci siamo avvalsi dello stesso team di produzione, con gli arrangiamenti orchestrali, i cori e tutto il resto. Il nostro timore più grande era fare un album ancora più pomposo, e non volevamo far diventare gli Amorphis una specie di musical Disney (ride, ndr), ma il risultato è stato l’esatto opposto. Jens ha voluto eliminare molta roba per andare, diciamo, all’essenziale. È un album molto versatile. C’è tutto: da una certa imponenza data dal ruolo dell’orchestra a quello che ci si aspetta da una band metal di sei componenti.
Sì, la mia impressione è stata proprio questa. Adesso ho una domanda sul “marchio di fabbrica”, e sono sicura che sai cosa intendo: quella cosa specifica che definisce una band, come una sorta di firma. Pensi sia ancora un elemento saliente o, per certi versi, possa rischiare di mettere dei limiti all’evoluzione della band? Come se dovesse stare all’interno di quegli specifici confini, per intenderci…
Penso sia assolutamente un vantaggio avere un sound originale e un marchio di fabbrica che sia riconoscibile, quella cosa che le persone riconoscono immediatamente e che fa dire “questi sono gli Amorphis”, “questi sono i Paradise Lost”, o “questi sono i Ghost”… Credo sia una cosa che ogni band voglia raggiungere: l’avere un marchio di fabbrica grazie al quale sei distinguibile. È qualcosa che non viene decisa da chi suona, tipo “ok, ora facciamo musica assolutamente unica così la gente ci riconosce”, è piuttosto il risultato di anni esperienza, e penso sia la gente a decidere se hai un marchio di fabbrica o meno, grazie al quale bastano dieci secondi per capire chi sta suonando.
Quindi possiamo dire che è il pubblico a decidere se hai o meno un marchio di fabbrica?
Oh, sì. Assolutamente. Io posso dire “sì, io ho il mio marchio distintivo” ma non significa nulla se nessuno lo riconosce, sa chi sono io o ascolta la mia musica (ride, ndr).
Certo, capisco. A tal proposito vorrei chiederti qualcosa sulla tua attività come artista solista: condiziona il tuo processo creativo negli Amorphis? Perché il tuo album solista (Silver Lake, uscito il 28 maggio 2021 su Nuclear Blast, ndr) è un mondo a sé, ma sei sempre tu. Come concili questi due lati di te, da musicista e da autore?
Ho iniziato a scrivere l’album solista anche a causa della pandemia, avevo troppo tempo libero! (ride, ndr)
Penso che si sentano molti “elementi Amorphis”, poiché scrivo musica anche per gli Amorphis, ma è un progetto del tutto separato. Ho avuto l’occasione di lavorare con grandi cantanti e grandi musicisti in quel progetto, e mi ha portato in una direzione diversa da quella che avrei intrapreso con la band. È stata una gran cosa per me e ha “salvato” un anno di pandemia. Mi sono potuto concentrare su qualcosa che volevo davvero fare. Sicuramente ci sono più o meno gli stessi elementi che puoi trovare nella musica degli Amorphis, ma penso sia semplicemente il mio modo di fare musica nel processo creativo. Penso sia positivo che ci siano delle similitudini, parlando di nuovo del marchio di fabbrica e del “tocco personale” nel fare musica, ecco…
Ero davvero impaziente di farti questa domanda, ti ringrazio molto per la tua risposta. Quest’altra è connessa alla precedente: c’è qualcuno o qualcosa da cui ti sei sentito ispirato fin dall’inizio della tua carriera musicale, che ancora ha questo ruolo per te, come autore di brani?
Se c’è una cosa abbastanza comune da cui traggo ispirazione è sicuramente il luogo in cui vivo e ciò che mi circonda qui in Finlandia. Quanto alle stagioni il nostro Paese può essere davvero spietato, ma allo stesso tempo è molto bello. Penso che la natura sia sempre stata una mia fonte di ispirazione. Musicalmente sono molto “old school”: mi piace scoprire ed ascoltare nuove band e nuova musica, ma diventa sempre più difficile anno dopo anno (ride, ndr), quindi di solito torno sempre sui vecchi classici: Black Sabbath, Led Zeppelin, Pink Floyd, Jethro Tull… e non posso rinnegarli: questa è la musica da cui sono stato ispirato all’inizio, ma lo sono ancora oggi.
Quindi sono ancora lì, come punti di riferimento per te, anche dopo trent’anni?
Assolutamente! (ride, ndr)
E la natura finlandese, chiaramente. Per la cronaca, vivo a Helsinki, quindi so a cosa ti riferisci.
Ah, ok! Quindi sì, sai bene di cosa parlo! (ride, ndr)
Non sapevo se dovevo mettere in evidenza questa cosa ma penso sia arrivato il momento di dirtelo (rido anche io, ndr).
È un bene che tu sappia di cosa parlo. Qui nevica, piove, è folle. Si gela… è difficile trovare la bellezza di questo paese quando c’è questo tempo, ma è sempre lì da qualche parte, sai… (ride, ndr)
Io vedo la bellezza di cui parli, ogni giorno, dalla mia finestra. A me piace molto l’inverno, quindi… forse è il motivo per cui mi sono trasferita qui.
Figo, ma io già non vedo l’ora che sia estate (ride, ndr).
Ci credo! Un’altra domanda sul nuovo album: c’è una qualche dichiarazione di tipo politico, paragonabile per esempio al problema di tutela dell’ambiente affrontato in Queen Of Time sul brano “The Bee”? (il brano parla dell’importanza delle api per l’uomo e per l’ambiente, ndr).
No, non questa volta. Pekka Kanulainen è l’autore dei nostri testi; quest’album parla di contrasti radicali, ci sono molte storie su come le terre del nord, come la Finlandia, siano state popolate e ciò che i popoli hanno dovuto affrontare quando si sono spostati qui. Quindi no, niente politica, per carità… (ride, ndr)
Intendo “politica” in senso ampio, voglio essere molto chiara su questo…
Okay, ora ho capito cosa intendi. Comunque no, non c’è nulla del genere su quest’album.
Ho parlato con Pekka dei testi, e alcuni sono ispirati a sue esperienze personali, altri a queste migrazioni verso nord e le conseguenti sfide affrontate dagli abitanti e cose così. Una piccola lezione di storia, potrei dire.
Parliamo a livello simbolico di sopravvivenza durante un momento difficile?
Sì, il primo brano, “Northwards”, riassume il tema piuttosto bene.
Parlando di Pekka Kainulainen, i testi vengono originariamente scritti in finlandese e successivamente tradotti in inglese. Pensi che la lingua inglese possa esprimere tutte le sfumature linguistiche e culturali contenute nel testo originale finlandese?
Penso sia una delle sfide più grandi durante la stesura dei brani. È molto importante per Tomi (Joutsen, frontman della band, ndr) e tutti noi che i messaggi e le storie raccontate da Pekka siano riportati fedelmente. Come sai, la lingua finlandese è strana ma è anche molto ricca: una parola può significare molte cose e tradurre testi del genere può essere molto difficile, adattandoli poi alla musica senza perdere il significato originale. C’è un nostro amico, il suo nome d’arte è Ike Vil, è un traduttore professionista, ha una band lui stesso (Sleep Of Monsters, ndr), quindi è una persona di cui ci fidiamo molto. Fa delle grandi traduzioni dai testi di Pekka.
Sì, lo conosco. È ancora lui il vostro traduttore?
Ah, lo conosci? (ride, ndr). Comunque sì, è ancora lui.
A proposito della difficoltà di mantenere nella traduzione certe sfumature legate alla cultura locale, che impatto ha l’essere nati e cresciuti in Finlandia, in una più profonda comprensione del messaggio e dei valori degli Amorphis?
In quanto band finlandese, abbiamo iniziato a usare il Kalevala (poema epico nazionale, ndr) come fonte di ispirazione per i nostri testi a partire da Tales From The Thousand Lakes nel 1994 (secondo album della band, ndr). È stato abbastanza naturale per noi, tutte le storie e le tradizioni narrate nel Kalevala venivano insegnate a scuola ai miei tempi. Era la lezione più noiosa in assoluto per me, quando ero un bambino (ride, ndr). Non so se si insegnino queste cose ancora oggi. Quando leggevamo il Kalevala non capivamo una parola perché è scritto in finlandese arcaico, ma in seguito abbiamo capito che è un po’ come se fosse il nostro libro fantasy, che è parzialmente vero: racconta di antiche tradizioni, ma anche delle antiche divinità, dove vivevano le persone… è stato spontaneo da parte nostra iniziare a usare il Kalevala come fonte di ispirazione per i nostri testi. Nello stesso periodo abbiamo inserito degli elementi folk nella nostra musica, creando quello che siamo tutt’ora. Per noi è anche un modo per comprendere ciò di cui cantiamo. Penso sia una gran cosa che grazie agli Amorphis molte persone provenienti da altri Paesi abbiano cominciato a interessarsi alla nostra eredità culturale e al Kalevala.
Faccio parte di quella categoria anche io.
Vedi? È una bella cosa! (ride, ndr)
Si può dire che gli Amorphis svolgono un po’ la funzione di ambasciatori della cultura finlandese nel mondo?
Sì, in un certo senso sì. Se non fossimo una band metal e se rappresentassimo un altro aspetto della cultura, ci sarebbero statue di noi in giro per la Finlandia (ride, ndr) ma, sai, in quanto musicisti metal non veniamo presi molto sul serio e dobbiamo sempre affrontare molte sfide. Il metal è ancora considerato “cultura bassa”, non è un tipo di musica culturalmente accettato. Forse si stanno facendo dei passi avanti, piano piano.
Questo è un punto molto interessante. Non posso non fare il paragone col mio paese d’origine, l’Italia, dove ho vissuto per la maggior parte della mia vita: in Italia il metal e il rock in generale non vengono nemmeno considerati come parte della cultura locale, mentre vedo che qui è diverso: c’è la piazza dedicata ai Lordi a Rovaniemi, il metal viene trasmesso in radio e così via. Pensi che nonostante ciò, il metal sia ancora una nicchia?
Assolutamente. Il genere di per sé non è nemmeno così vecchio, se ci pensi: parliamo di anni Settanta, Ottanta… se guardi le band degli anni Ottanta si capisce perché le persone erano interessate. I giovani di allora volevano ascoltare qualcosa di diverso e a un certo punto era anche indice di un senso di ribellione. Io posso capire perché il metal non sia così popolare e diffuso, o meglio, così commerciale: è diffuso, ma non è così commerciale. Posso parlare ovviamente di quello che è accaduto in Finlandia: i Lordi vinsero l’Eurovision all’inizio del millennio, nello stesso periodo le prime band finlandesi cominciarono a “sfondare”: HIM, Nightwish, The Rasmus e qualche altro nome. Per la prima volta la musica finlandese veniva notata all’estero. Poi le band iniziarono ad andare in tour sempre più spesso e anche in patria le persone cominciarono ad ascoltare quelle band con maggiore interesse. La produzione musicale finlandese era rimasta confinata nel Paese per molto tempo, ma alla fine il metal è diventato popolare. Penso spieghi un po’ di cose, ma vedi, non puoi paragonarlo per esempio alla musica classica e a quella che viene definita “musica vera”: in tal senso il metal non viene ancora oggi accettato su un piano culturale come musica “seria”. Forse ci arriveremo un giorno. C’è ancora molto da fare. Ci sono band che continuano a cantare di corpi smembrati e roba così: è difficile prendere sul serio una cosa del genere! (ride di gusto, ndr)
Sì, ha perfettamente senso, e ti ringrazio per questo approfondimento. Abbiamo tempo per un’ultima domanda. Ho notato una cosa, ascoltando l’album: alla fine di “When The Gods Came” (sesto brano sul nuovo album, ndr) si sente qualcuno dire “VITTU, SE ON SIINÄ!” (traducibile a grandi linee come “è fatta, cazzo!”, in inglese corrisponde a “fuck, that’s it!”, ndr). Penso sia lì di proposito…
(ride di gusto, ndr) Ti dico subito cos’è: è Snoopy (soprannome di Jan Rechberger, ndr), il nostro batterista, che aveva appena finito di suonare quel brano per la sessione finale, e il microfono panoramico ha captato quel “vittu, se on siinä”. Quei microfoni sono molto sensibili e “prendono” tutto (ride, ndr). È stato lasciato lì di proposito dal nostro produttore, Jens. Il mio humor non è abbastanza per questo genere di cose, ma il suo sì, quindi è ancora lì. Sai, è divertente.
Ehi, posso trascrivere la tua risposta nell’intervista?
Certo che puoi, non è un segreto.
È una roba che è lì e la puoi sentire specialmente se ascolti l’album con un impianto adeguato, ma è lì esclusivamente per i fan finlandesi.
Sì, suona esotico per le altre persone.
Dice molto sull’atmosfera generale durante le registrazioni, ed è esilarante.
Lo è, davvero (ride, ndr).
Forse abbiamo tempo per un’ultimissima domanda, cercherò di essere veloce: se dovessi suggerire un album degli Amorphis a qualcuno che non conosce la band, quale suggeriresti, e perché?
È molto difficile sceglierne solo uno, ma sarebbe probabilmente Under The Red Cloud perché ha in qualche modo inaugurato un’era col nostro produttore Jens. Penso che i nostri ultimi tre album, Under The Red Cloud, Queen Of Time ed Halo si equivalgano e rappresentino molto bene chi sono gli Amorphis, ma anche Eclipse è molto importante nella mia carriera, che è il primo album che abbiamo fatto con Tomi (Joutsen, ndr) e che ha aperto una nuova era per la band.
Molto interessante. Penso di aver finito. Grazie mille per il tuo tempo. Spero di vedervi in sede live perché ne abbiamo tutti un gran bisogno.
Grazie a te per la bella intervista. Goditi Helsinki!
Certo! Grazie ancora!
Moi moi! (“ciao” in finlandese, ndr)