AMON, The Innermost Legacy
The Legacy uscì vent’anni fa per Eibon Records. Amon (Andrea Marutti) è una delle idee fisse di Mauro Berchi su come debba essere il dark ambient, tanto che in passato lo ha definito il più importante progetto in Italia nel genere e si è occupato quasi sempre dei suoi dischi, oltre che di quelli registrati assieme a Giuseppe Verticchio/Nimh (a nome Hall Of Mirrors). The Innermost Legacy è una ristampa con aggiunte, pubblicata da Eibon assieme a Silentes, altra etichetta da sempre attenta a ciò che fa Andrea: nuovo mastering del musicista stesso, bonus cd con pezzi live, compreso uno proveniente dal Primo Congresso Post-Industriale italiano a Pordenone, la città di Old Europa Cafe (era sempre il 1998). All’epoca, prima che entrasse in gioco tutto il cosiddetto drone-doom – che avrebbe alzato la barra della potenza, cambiato la partita, suggerito nuove contaminazioni e anche un “nuovo passato” in cui trovare spunti – c’erano i cloni della Cold Meat Industry, i cloni di Lustmord e c’era Amon, che come ascolti partiva da dove prendevano le mosse gli altri (tutti fan dell’industrial della prima ora, fossero i Test Dept, i Throbbing Gristle, i Coil, gli SPK, i Zoviet France o qualche nome ancora più sepolto), ma che non sapeva che ciò che suonava sarebbe stato etichettato come dark ambient: niente ruggiti infernali, niente canti monastici, niente trucchi horror. The (Innermost) Legacy è semplicemente (?) il respiro di creature eterne, il vibrare di una dimensione i cui abitanti non si agitano affatto come noi, che sappiamo di morire presto. Non a caso l’album è ispirato dal cosiddetto “volto/faccia su Marte”, dunque si parla di storie che abbracciano i millenni e non i secoli.
In un momento in cui si ristampano tanti minimalisti delle origini, un generazione comunque precedente a quella di Andrea, Amon sembra più vivo e credibile di altri suoi contemporanei.