AMON AMARTH, Jomsviking

Amon-Amarth-Jomsviking

Il drakkar degli Amon Amarth gonfia le sue vele e avanza inesorabile nelle gelide acque del Mare del Nord. La formazione svedese, che suona death metal melodico e lo lega alla cultura norrena, ci aveva lasciato tre anni orsono con l’ottimo Deceiver Of The Gods, che faceva seguito a una serie di album piuttosto riusciti come Twilight Of The Thunder God (2008) e Surtur Rising (2011). Il nuovo disco, Jomsviking (nome che deriva dalla semi-leggendaria fortezza vichinga di Jomsborg, situata sulla costa meridionale del Mar Baltico) è il decimo episodio della carriera artistica di un gruppo in ascesa costante in termini di popolarità e – pur non discostandosi dai temi trattati abitualmente dal gruppo – fuoriesce dal pantheon scandinavo per raccontare una vicenda umana. La storia narrata all’interno di quello che rappresenta il primo vero “concept album” degli Amon Amarth riguarda infatti la vita di un guerriero appartenente a un ordine di mercenari d’élite vichinghi, gli Jomsvikings appunto, che sono esistiti a cavallo tra il Decimo e l’Undicesimo secolo ed erano dediti al culto di Thor e Odino. Lui si innamora di una donna sposata e, una volta scoperto, è costretto alla fuga come ricercato dopo l’uccisione di una sentinella. L’arruolamento tra le fila di questa confraternita guerriera, composta di combattenti di ogni età pronti ad abbracciare tutte le cause nobili che possono loro garantire l’accesso al Valhalla attraverso il sangue e il furore della battaglia, e la decisione di ritornare per vendicarsi e riconquistare la sua amata lascerebbero presagire un lieto fine, che invece viene a mancare come nella migliore delle saghe vichinghe, ricche di gloria, scontri, cameratismo e sorti funeste. Sotto il profilo musicale non si assiste ad alcuno sconvolgimento particolare, dato che il gruppo è riconoscibile fin dai primi secondi di ascolto, ma c’è un importante cambio in seno alla formazione, il primo da molto tempo a questa parte: il batterista Frederik Andersson, dopo diciassette anni di onorato servizio, non è infatti più della partita, sostituito dall’ex Vomitory Tobias Gustafsson, che ha partecipato in veste di session man alle registrazioni del disco, in attesa dell’arrivo di un nuovo membro definitivo. L’ordine delle canzoni rispetta l’ordine cronologico della storia e ciascun titolo si riferisce a un capitolo in particolare. La traccia iniziale “First Kill”, prescelta come singolo apripista, esordisce su note melodiche vicine agli Iron Maiden per trasformarsi in seguito nel consueto death metal combattivo del gruppo, abbinato al cantato possente di Johan Hegg. La produzione di Andy Sneap esalta gli arrangiamenti e le sonorità epiche, come testimoniano i cori di “Raise Your Horns”, le voci narranti che rafforzano il racconto e gli assolo melodici di chitarra in pieno stile death svedese. L’influenza heavy metal tradizionale affiora invece in modo prepotente nella pesante “Wanderer” e nella successiva “On A Sea Of Blood”, contraddistinta dalla presenza delle chitarre gemelle. Dal canto loro, il richiamo ossessivo dei tamburi di “The Way Of Vikings”, sottolineati da un crescendo orchestrale eroico, e le percussioni introduttive di “At Dawn’s First Light” evocano la tensione che precede la battaglia. L’album contiene anche canzoni che si allontanano dai consueti sentieri battuti dagli Amon Amarth, come la lunga “Back On The Northern Shore”, la malinconica ode funeraria “On Thousand Burning Arrows” con i suoi  passaggi al limite del doom e il duetto con Doro Pesch in “A Dream That Cannot Be”, che valorizza, in un parallelismo tematico e musicale rimarchevole, la componente tragico-romantica insita nel tema della donna amata ma già promessa in sposa e del trascorrere del tempo che allontana in modo implacabile gli amanti. Se si parte dal presupposto che un buon album si vede anche dalla qualità degli arrangiamenti, in questo caso molto curati e capaci di conferire al disco una dimensione visuale, Jomsviking può definirsi più riuscito dei suoi predecessori, distinguendosi inoltre per potenza e ispirazione.

Con questa prova non si può certo rimproverare al gruppo originario di Stoccolma di non procedere spedito verso un’evoluzione del suo death metal, che, pur colorandosi di aspetti sempre più melodici, rimane profondamente Amon Amarth nei testi epici e nello spirito guerriero.

Tracklist

01. First Kill
02. Wanderer
03. On a Sea of Blood
04. One Against All
05. Raise Your Horns
06. The Way of Vikings
07. At Dawn’s First Light
08. One Thousand Burning Arrows
09. Vengeance Is My Name
10. A Dream That Cannot Be (feat. Doro Pesch)
11. Back on Northern Shores